Vietato ammalarsi d’estate

“Sarà un’estate in emergenza”, è l’avviso che campeggia in molti settori della vita pubblica italiana, un modo di introdurre l’utente nel disagio assicurato dalle carenze strutturali di un Paese sfilacciato dalle sue stesse questioni irrisolte. Le corsie degli ospedali, nel clima torrido e nel conseguente picco di malori, subiscono gli effetti di una riduzione del personale che non ha trovato risposte o forme di contrasto ma solo il tentativo improvvisato e goffo di tamponare l’emergenza attuando soluzioni creative. D’estate, con le ferie, anche negli ospedali le difficoltà diventano insormontabili nonostante, rispetto ad altri tipi di servizi, quello sanitario dovrebbe garantire la piena regolarità in ogni periodo dell’anno.

La crisi del sistema sanitario

Le ferie d’agosto aggravano la situazione ma il principale problema del sistema sanitario risiede nel mancato ricambio: a causa del blocco del turnover in molte regioni (fino a qualche mese fa conseguenza di un assurdo piano di rientro dal debito) escono più medici di quanti ne entrano. E così, senza bandire concorsi e a fronte dell’ingente numero di pensionamenti e della quota 100, garantire le sostituzioni in periodo di ferie diventa un’impresa e molti reparti sono costretti a ridurre i letti e i ricoveri, a tagliare gli interventi chirurgici programmati per assicurare soltanto quelli urgenti. Nella maggioranza degli ospedali il pronto soccorso lavora a pieno regime, insieme a Chirurgia generale, Pediatria, Anestesia e Medicina interna, e diversamente dagli altri reparti. Per colmare i buchi, in alcuni casi si è fatto ricorso a militari, medici già pensionati, neolaureati (senza specializzazione), gettonati reclutati anche solo per un paio di turni. Ma al cospetto di situazioni d’emergenza, non sono mancate le sostituzioni attraverso spostamenti interni, anche se da contratto non si può sopperire a una carenza di personale in un reparto con personale di un’altra divisione. Le gravi carenze negli organici delle strutture condizionano anche la sanità campana, con situazioni ingestibili in alcuni presidi del napoletano dove interi reparti hanno chiuso i battenti per agosto. Il Ruggi di Salerno, da tempo alle prese con le carenze dell’organico, ha disposto la chiusura fino al 31 agosto di 50 posti letto, decisione legata all’accorpamento dei reparti di oncologia e di cardiologia, e alla penuria di camici bianchi. I sindacati hanno denunciato l’insufficienza di personale in relazione al numero di prestazioni e agli accessi all’azienda ospedaliera salernitana, motivo che costringe gli operatori a doppi turni, a rinunciare ai riposi e a sobbarcarsi anche mansioni al di fuori della propria competenza specifica. E mentre si riduce il personale, crescono le prestazioni, con un pronto soccorso che ha più accessi del “Cardarelli” di Napoli, e nuovi reparti che aprono senza personale dedicato. In tal senso hanno inciso anche i tagli alla spesa sanitaria apportati con l’obiettivo di uscire dal piano di rientro imposto alla Regione Campania nel 2010 attraverso il commissariamento della sanità regionale: il debito da risanare era pari a nove miliardi di euro.

I dati ufficiali fotografano una situazione sempre più difficile: nei prossimi cinque anni circa 52.500 medici andranno in pensione, tutti coloro che nel 2018 avevano più di 55 anni. Un numero impressionante: oltre la metà degli ospedalieri italiani. Per molti, il nodo della questione è rappresentato da quello che viene definito “l’imbuto”, ovvero le scuole di specializzazione post-laurea. Che durano quattro o cinque anni ma che formano ancora pochi medici. La metà, inoltre, al termine della specializzazione viene inglobato dal privato o dalle case farmaceutiche. Mentre cresce il numero di coloro che, attratti dalle prospettive economiche e dalla possibilità di incamerare maggiori soddisfazioni personali, scelgono di spostarsi all’estero, consci che le avarie del sistema sanitario nazionale e locale non termineranno qui.

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