I teatri – come cinema, musei e biblioteche italiane – sono chiusi al pubblico ormai da mesi. Al Nord Italia le maggiori forme di intrattenimento socio-culturale sono state le prime ad essere state fermate e, via via, anche nelle altre regioni della penisola i governatori hanno provveduto ad interrompere le consuete attività in via precauzionale. “I primi a chiudere, ma gli ultimi ad aprire“, lamentano alcuni. Un settore in crisi più di altri, dove viene a mancare l’essenza stessa della socialità. Al di là dello svago, il teatro sta cercando di reinventarsi – parola chiave spesso ricorrente in questo periodo di crisi causato dalla pandemia – per rinascere insieme e ancora più forti.
Molte sono le forme di resistenza adottate dai maggiori teatri o da artisti individuali, i quali si servono dei moderni di comunicazione per portare la propria arte nelle case di tutti. Lettura in streaming, monologhi in diretta, recitazione online o condivisione di materiali d’archivio sono solo alcuni dei metodi che artisti, attori e performers stanno adottando nel corso di questo lungo periodo di lockdown. Ne sono un esempio gli attori Stefano Accorsi e Alessio Boni i quali, quotidianamente, si dilettano a leggere in diretta sui loro profili social alcune poesie o brevi racconti, per portare la propria presenza nelle case di tutti. Il discorso si complica, maggiormente, per coloro i quali vivono esclusivamente di Teatro.
Talvolta è difficile andare avanti quando la stagione teatrale è stata bruscamente interrotta e non si sa quando si potrà tornare sul palcoscenico. A portarci la sua testimonianza è una giovane studentessa dell’Università degli Studi di Salerno, Benedetta Picariello. Benedetta da circa tre anni frequenta il laboratorio teatrale curato annualmente dall’associazione Clan H, una compagnia la quale, a partire dagli anni ’70, porta i propri spettacoli in giro per la Campania.
“A noi ragazzi del laboratorio – esordisce Benedetta – era stato chiesto, inizialmente, di pubblicare sui nostri canali social dei video mentre leggevamo o recitavamo qualcosa che ci avesse particolarmente colpito, però per il resto non è stata adottata alcuna politica particolare. Era più in invito a rimanere in contatto in questo periodo di isolamento. Non credo che a partire dal 4 maggio riusciremo a vederci o a fare qualcosa di più.
Il nostro maestro, Salvatore, è un attore professionista e gestisce la Compagnia Teatrale di Famiglia da anni e non crede nel teatro come forma elitaria, ma come arte disponibile a tutti.
Il laboratorio si divide in due parti, una prima parte sulla dizione, recitazione, clownerie, improvvisazione e una seconda parte durante la quale ci si sofferma sullo spettacolo finale. Quest’anno a maggio avremmo dovuto portare in scena il “Faust” di Goethe, ma ci siamo interrotti nel bel mezzo delle prove. La situazione in sé, per noi amanti del Teatro, è molto dura. Manca il laboratorio, il palcoscenico. A me, personalmente, manca essere lì anima e corpo, sentirmi libera e me stessa, immedesimandomi nei personaggi che interpreto. La vera amarezza – conclude la studentessa – è sapere di non poter portare in scena lo spettacolo finale, per noi di grande valore, non solo artistico”.
L’idea di coinvolgere tutti, artisti e spettatori, in un’unica performance live tramite social è stata adottata anche dal Comune di Salerno. Attraverso la Chiamata alle arti, iniziativa sostenuta in particolar modo dall’assessore alla cultura Antonia Willburger, è stato chiesto a tutti coloro i quali vivono di e per le arti dello spettacolo di offrire il proprio lavoro, live o di archivio, da divulgare sui canali social del Comune di Salerno per una libera e completa fruizione da parte di tutti.
Teatro, performance da casa e la “Chiamata alle arti” che fa discutere. La parola a Vincenzo Albano e a Rocco Ancarola
Vincenzo Albano, in qualità di direttore e responsabile dell’associazione Erre Teatro fin dal 2012 – anno della sua fondazione – ci ha espresso le motivazioni che hanno spinto la sua associazione culturale a prendere le distanze da questa iniziativa promossa dal Comune di Salerno il quale, pur agendo in buona fede, non tiene conto delle difficoltà, non solo economiche, che coloro i quali vivono di Teatro stanno affrontando.
L’iniziativa, nata per fronteggiare questo periodo buio all’insegna dell’arte e della bellezza, ha però scatenato il malcontento di coloro i quali lavorano e vivono di queste forme di rappresentazione scenica e che non hanno perso l’occasione di far sentire la propria voce.
“Il mio non vuole essere un dissenso nei confronti del Comune di Salerno – precisa Vincenzo Albano – ma credo fermamente che la Call sia generica ed equivoca. L’iniziativa, la “Chiamata alle Arti” in sé, se magari fosse stata pensata e strutturata in maniera diversa, avrebbe potuto riscuotere un consenso diverso. Le parole hanno, da sempre, un peso molto rilevante e, in un momento in cui i lavoratori dello spettacolo sono ad oggi, per così dire, defunti come categoria lavorativa, talvolta nemmeno viene considerata tale, ci saremmo aspettati tutti un’attenzione diversa. Ribadisco che non vedo malafede da parte del comune, bensì poca attenzione. A mio avviso è stato toccato un nervo scoperto dato che ci muoviamo in quello che ora come ora è un vero e proprio campo minato. Tengo a prendere le distanze dalla polemica sterile che è nata negli ultimi giorni sui social e sul profilo del Comune di Salerno, una polemica deleteria e poco costruttiva, ma preciso, ancora una volta, quanto non sia ammissibile offrire il proprio lavoro, la propria cultura come svago. Una call del genere rischia di favorire la creazione e la diffusione di contenuti improvvisati, anche da parte di persone che nulla hanno a che vedere con l’arte e con la cultura, in una sorta di “Corrida” che contribuirebbe ad abbassare ancora di più il livello della proposta culturale, già di per sé mortificata anche dalla promiscuità che regna sovrana tra le attività professionali e quelle socio-ricreative.
Ogni artista a modo suo, sulle proprie pagine sta già donando il proprio talento, dunque quale necessità c’era di indire questa Call? Più utile sarebbe stata una call per raccogliere proposte, per generare un dibattito sul da farsi una volta finita questa emergenza. Non ho mai voluto formulare attacchi personali, ma avevo a cuore di sollecitare una consapevolezza che i tempi impongono urgentemente di acquisire, ancora più di prima. Quella consapevolezza che è necessario porre alla base di qualsiasi azione mirata a migliorare, per quanto possibile, il nostro presente, il nostro futuro e di conseguenza quello della collettività.
Il settore del Teatro, nel distanziamento sociale, sta vivendo il suo più grande paradosso, ovvero viene meno la relazione con lo spettatore, dunque l’essenza stessa del Teatro e del nostro lavoro. I social ci aiutano, ma la base viene a mancare, a mio avviso, perché non possiamo fare a meno delle relazioni che. Un problema di cui è necessario parlare, anche prendendo posizioni nette, poco accomodanti, contrarie, ma espresse, sempre, lo ripeto, con garbo e rispetto, motivando le proprie ragioni”.
Vincenzo Albano conclude poi ribadendo che il dialogo sia la forma migliore per affrontare qualsiasi tipo di problema.
“Dissentire non vuol dire essere avversari, non dobbiamo essere divisi, ma uniti in una situazione di crisi. Su una cosa bisogna essere uniti, nel dialogo. Non dobbiamo essere divisi, ma uniti in una situazione di crisi”.
Il progetto teatrale portato avanti dall’associazione Erre Teatro, dal titolo Mutaverso, si fa portavoce di una grande comunità, fatta di attori, performers, amanti dell’arte e che dell’arte hanno fatto la propria essenza di vita.
A fare eco alle parole di Vincenzo Albano c’è, tra gli altri, Rocco Ancarola, giovane attore di 23 anni appena il quale ribadisce il dissenso nei confronti della Chiamata alle Arti. Rocco studia e vive di Teatro in Emilia Romagna, ma è da sempre legato alle attività e alle iniziative portate avanti dalla città di Salerno, suo luogo d’origine.
“Non condivido l’appello del comune di Salerno – esordisce il giovane attore – dato che il comune ribadisce ancora una volta un’idea di cultura e di arte totalmente irrispettosa e distruttrice per l’arte stessa. Così come Vincenzo Albano, neanche io credo che l’assessore avesse intenzioni negative, probabilmente con troppa ingenuità ci si è voluti affrettare a proporre qualcosa per mantenere “viva” la circolazione di contenuti artistici e culturali in un periodo in cui gli assembramenti necessari per questi eventi non sono possibili. A mio parere però questa proposta, più che mantenere viva la realtà culturale e artistica, contribuisce a favorirne la morte. La tendenza a queste proposte è diffusa di questi tempi, il primo “scandalo” nel mondo dei lavoratori dello spettacolo l’ha creato un post molto simile da parte del comune di Catania, e lì i sindacati non hanno mancato di farsi sentire, succederà anche a Salerno?
Parlare di artisti significa parlare di una categoria di persone che in larga parte non ha ricevuto sussidi a seguito di questa emergenza, spesso non perché non avessero maturato effettivamente le giornate necessarie a richiederli ma perché ci sono delle evidenti falle normative nella gestione dei contributi e a queste si somma una comune pratica di ingaggio “a nero” dei suddetti artisti o con escamotage che evitino il regolare pagamento alla cassa previdenziale.
In più la proposta insiste varie volte sulla gratuità del lavoro offerto e questa, purtroppo, non è un’eccezione per l’emergenza bensì una pratica molto diffusa. Spesso, a nostro discapito, ci viene chiesto di lavorare senza retribuzione, in cambio di visibilità o per fare esperienza”.
Rocco conclude citando parte di un’importante riflessione del giornalista italiano Michele Smargiassi.
“In questa travolgente tendenza, incassata senza neppure tanta gratitudine dai destinatari (“Tanto, che cosa gli costa? Non deve neanche uscire di casa!”), lo si capisca o no, si nasconde la vecchia deprimente idea del lavoro intellettuale come qualcosa che non è costato nulla produrre (anni di studio, libri comprati, viaggi, musei visitati, tempo di elaborazione…), come se il sapere venisse infuso alla nascita nel serbatoio della mente, e dispensarlo fosse poi una semplice gioiosa apertura di rubinetto”.
Rinascere, dunque, nel rispetto e nel riconoscimento del valore dell’arte in ogni sua forma.