Socrates, storia di un rivoluzionario: la Democracia Corinthiana

Il protagonista della nostra storia di oggi è un uomo differente rispetto a tutti gli altri, giocatore meraviglioso con un nome da filosofo: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, meglio noto come Sócrates, così battezzato dal padre che nei suoi studi da autodidatta si era appassionato ai grandi pensatori greci dell’antichità.

Un nome a dir poco impegnativo per quel ragazzo magro e ciondolante, dalla capigliatura fluente e dagli occhi profondi, ma che si addiceva perfettamente ad un uomo la cui cultura e intelligenza andavano ben oltre la media dei calciatori del tempo.

Sócrates, nato a Belém il 19 febbraio 1954, esordisce nel calcio che conta con la maglia del Botafogo di Ribeirão Preto dedicandosi sia al calcio che alla laurea in medicina, alternando molti libri a pochi allenamenti perché, come candidamente ammesso da lui stesso in più di un’occasione: “in campo ci sono quelli che corrono e quelli che pensano”.

E lui pensava, beveva, fumava e giocava in modo diverso da tutti gli altri, accendendo la luce ad ogni singolo tocco di palla, rivoluzionando per sempre il ruolo della mezzala grazie anche ai suoi celebri colpi di tacco che non erano atti di narcisismo ma “manifestazioni di libertà che dovevano far innamorare”.

Quando nel 1978 arrivò al Corinthians, in poche settimane divenne il leader della squadra e ideò quella che ancora oggi è ricordata come l’unica esperienza di completa autogestione nella storia del calcio e che passerà alla storia con il nome di “Democracia Corinthiana”.

Per comprendere appieno la portata rivoluzionaria del progetto, dobbiamo necessariamente parlare di cosa era il Brasile in quel determinato periodo storico.

Il Brasile degli inizi degli anni ’80 era un paese antidemocratico, che in nulla differiva dalle altre esperienze dittatoriali attive in quegli anni in America Latina.

Il regime dei Gorillas, iniziato nel 1964 con il colpo di stato guidato dalle forze armate brasiliane, proprio a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, raggiunse il proprio apice, arrivando a censurare la libera stampa, a uccidere e torturare i dissidenti e a controllare in modo capillare ogni aspetto della società, calcio compreso.

In quel contesto così complesso, la squadra capitanata da Sócrates riconobbe al calcio un potere sociopolitico immenso e si prefissò l’obiettivo di dimostrare al popolo brasiliano che “altri liberi cittadini” sarebbero riusciti a creare e a gestire una società nuova, radicalmente diversa rispetto a quella monocolore proposta dal regime.

A permettere la nascita di quella meravigliosa esperienza fu una curiosa concatenazione di eventi favorevoli e quel gruppo di “calciatori cittadini” fu aiutato da un presidente illuminato di nome Waldemar Pires che come prima mossa decise di portare alla propria corte Adílson Monteiro Alves, un sociologo che ben poco si intendeva di calcio ma che con il suo aspetto da rockstar si era fatto conoscere per il suo impegno contro la dittatura.

Ma fu Sócrates, il Dottore, a proporre e a dar vita alla rivoluzione: ogni decisione riguardante la formazione, i turni di allenamento, gli acquisti, gli stipendi, i premi partita e via dicendo non sarebbe stata più presa dai vertici della società, bensì da tutti.

A partire dal presidente, passando per Sócrates, sino ad arrivare all’ultimo dei magazzinieri, tutti potevano votare.

Tutti i voti erano uguali e tutti, in egual modo, potevano contribuire a determinare le sorti societarie.

Un messaggio semplice che, però, nel Brasile sotto la dittatura del generale Figueiredo assunse ben presto le sembianze di atto sovversivo. Tant’è che la Democracia Corinthiana fu attaccata sin da subito dal regime, preoccupato dai risvolti che avrebbe potuto assumere quell’esperienza inedita.

Anche la stampa iniziò ben presto la propria campagna denigratoria contro quel Corinthians, sostenendo che quell’esperimento non avrebbe mai potuto funzionare e che, di fatto, tutto il progetto non era altro che un pretesto per fumare marijuana e spassarsela con le donne.

Sócrates, dal canto suo, era certo che quel “nuovo” sistema avrebbe presto dato i suoi frutti perché in fondo: “la Democrazia ha sempre funzionato sin dai tempi dell’Antica Grecia, perché non dovrebbe funzionare ora?”

Nel frattempo, con il passare delle settimane la situazione si faceva sempre più pesante e a cadenza pressoché giornaliera il regime sottoponeva a perquisizioni il campo di allenamento del Corinthians, alla disperata ricerca di prove di attività illecita.

I calciatori compresero quindi che l’unico modo per difendere il proprio sogno e per legittimare quell’esperienza era vincere.

E vinsero, vinsero per ben due volte il Campionato Paulista nel 1982 e nel 1983, con Sócrates che ad ogni goal realizzato dalla propria squadra alzava fieramente il pugno al cielo come Tommy Smith alle Olimpiadi del Messico.

La squadra entrava in campo con magliette slogan.

“Votate il giorno 15” c’era scritto alla vigilia della prima votazione politica dall’anno del golpe e sugli spalti capeggiava lo striscione “Vincere o perdere, ma sempre con Democrazia”.

Dopo il secondo scudetto Paulista, il radiocronista Osmar Santos, preso dall’entusiasmo, si alzò in piedi e urlo “Viva la Democracia Corinthiana, rivogliamo l’elezione del presidente”.

Dopo il secondo titolo Socrates lasciò il Brasile per una breve e sfortunata esperienza alla Fiorentina per studiare in lingua originale gli scritti di un certo Gramsci, quel gruppo si sciolse e l’esperienza Corinthiana sul rettangolo verde terminò.

Restò tuttavia viva e forte nel cuore del popolo brasiliano l’idea di una società diversa, libera e democratica.

Quel popolo che dopo l’insegnamento di Sócrates e compagni iniziò a scendere nuovamente in piazza per rivendicare i propri diritti, per riavere le libertà perdute e da lì a poco riuscì nel proprio intento.

Quando terminò la propria esperienza da calciatore, Sócrates iniziò una nuova vita che lo vedeva impegnato come medico, come intellettuale e, purtroppo, come bevitore.

Aveva detto “voglio morire di domenica nel giorno in cui il Corinthians vince il campionato”.

Morì il 4 dicembre del 2011, una domenica, a soli 57 anni, poche ore prima che il Corinthians vincesse il quinto titolo della propria storia.

In questi giorni in cui il Brasile si ritrova in ginocchio a causa delle politiche scelerate e settarie di un leader che sta riportando il paese al collasso sociale, si spera che l’esperienza Bolsonaro possa finire come quella dei predecessori: schiacciata sotto il peso della democrazia e del popolo libero.

Perché Sócrates e compagni ci hanno insegnato che quella della Democracia Corinthiana è stata tutto fuorché una utopia.

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