Salernitana-Udinese: l’allegoria di un Sentimento

Iniziamo dalla fine del primo tempo di Salernitana-Udinese: le facce attonite, i corpi pietrificati e contriti dal dolore seduti sulle gradinate o immobili nello spiazzale adiacente al proprio settore: come se fossero installazioni di un’opera d’arte contemporanea. Non ditemi che questa sia una partita come le altre, non ditemi che questo sia solo calcio: è Sentimento, è un qualcosa di diverso. A sé stante.

È un cammino folle quello di questa stagione per la Salernitana, sbilenco, pieno di cadute, pieno di momenti in cui questa squadra sembrasse non avere altro esito se non quello di soccombere cadendo nell’oblio: poi dal 31 Dicembre la storia prende un altro percorso. La fine del trustee, la fine dell’epopea lotitiana, la fine dell’incubo dall’esclusione in serie A, l’inizio di una nuova fase della storia della Salernitana con la presidenza di Iervolino. Si conoscono gli uomini che  siano stati inseriti dal nuovo presidente e abbiano cambiato l’inerzia; di uno dei protagonisti assoluti di questo nuovo percorso, c’è una frase che mi è rimbombata in testa in questi giorni antecedenti la partita :“A Salerno, l’emozione popolare sradica le sequoie“. Una delle perle del direttore Sabatini nel giorno della sua presentazione.

Nel dirigermi verso il campo con molto anticipo prima dell’inizio della gara, prendendo la metro che mi porta all’Arechi, mi colpisce un dettaglio: c’è un bambino con la maglia di Bonazzoli. Sembra un dettaglio insignificante, eppure racconta tanto; racconta di come la nuova generazione possa vivere il proprio sogno  senza dover scavare nei ricordi, costruendo una memoria futura con nuovi idoli, nuove utopie, emozioni non rilegate in vecchi video: merito della cavalcata entusiasmante di Nicola e dei suoi ragazzi. Il sole sembra non voler tramontare, è  un caldo pomeriggio di fine maggio che accoglie il sogno di un popolo: covato da così tanto tempo, che esprimerlo liberamente e ad alta voce  è un esercizio molto complesso.

Il secondo tempo inizia e Pereyra cala il poker. “Quattro. Pesanti come un colpo” neanche Majakovskij letto dalla voce di C.B. avrebbe potuto prefigurare questo gelo che si percepisce e perfora le ossa; di gradone in gradone, di settore in settore: il cuore però seppur lacerato non si frantuma in mille pezzi. Il cuore non si è sgretolato con il gol di Altare subito al 99mo nel match salvezza contro il Cagliari, nemmeno con il rigore sbagliato nella gara contro l’Empoli da parte di Perotti; solo l’umoralità ha subito picchi di un’instabilità emotiva al limite del patologico, quello si. Il cuore però regge: ha retto a fallimenti, retrocessioni, finali di play off e spareggi persi. Il cuore ha già ampiamente conosciuto il dolore più grande nella memoria collettiva del popolo granata: era il 24 maggio 1999.

Ciò che accade in campo all’Arechi passa in secondo piano, il risultato è ormai compromesso sull’0-4 per i friulani. Sugli spalti si freme e ci si sintonizza sulla diretta della gara che si disputa in simultanea al Penzo: il cuore batte all’impazzata nell’ascoltare l’evolversi di Venezia-Cagliari.

Tra le mani del portiere finlandese del Venezia, Niki Mäenpää, si aggrappano le speranze di quel sogno che Nicola, insieme alla squadra, ha saputo centimetro dopo centimetro rendere possibile.

Al Penzo, Nandez scodella un pallone in mezzo al 61mo per Bellanova che colpisce con un imperioso colpo di testa: l’estremo difensore veneziano effettua una sensazionale parata. Poi, Rog e ancora Altare vengono neutralizzatida Mäenpää. I minuti passano e il Cagliari non molla, tuttavia la porta rimane inviolata: 6 minuti di recupero. Il finale al cardiopalma è degno di un film, possibilmente con le musiche di Morricone, le stesse che sono state il sottofondo della maestosa coreografia che la Curva Sud ha esibito ad inizio della gara contro l’Udinese; lasciando a bocca aperta i presenti allo stadio, fino ad avere un eco mediatico a macchia d’olio su internet: oltre i confini nazionali. Ritornando alla gara in Laguna, i 6 minuti finiscono: lo 0-0  tra Venezia e Cagliari non cambia. È finita. La Salernitana rimane in serie A. La Storia continuA.

Ciò che si scatena nell’istante successivo a quel triplice fischio è l’emozione più irrazionale: è l’allegoria di una stagione, di quel 7% di probabilità di salvezza tramutato in un 100%. La caratura di un direttore come Sabatini capace in una decina di giorni di ridisegnare la squadra e ridarle nuova linfa con calciatori di qualità: Verdi, Fazio, Mazzocchi, Radovanovic, Sepe per citarne alcuni e soprattutto l’assoluta bravuradi scovare due talenti in un tempo così ristretto e limitato nella finestra del mercato di Gennaio: Ederson e Bohinen. Pensare che qualcuno abbia avuto la capacità di ribattezzare il tutto come Instant Flop: il tempo è stato galantuomo. Poi parlare di Nicola come l’uomo dei miracoli o meglio l’uomo del possibile: la sua attitudine motivazionale, la sua conoscenza tecnica rendono questa esperienza a Salerno materiale per una prossima serie Netflix. Infine il presidente Iervolino riuscito a raggiungere due salvezze in poco tempo: la prima evitando l’esclusione della Salernitana dalla massima serie; infine la seconda, mantenendola categoria. Il tutto gettando le basi per la costruzione di un futuro più solido per la compagine granata.

Eppure c’è qualcosa di ben più profondo per comprendere quanto questa salvezza valga come uno scudetto cucito sul petto; c’è forse il ricordo di quel match al Garilli di Piacenza, dove la retrocessione fu un’appendice rispetto al dramma seguito in quella galleria. L’idea che si possa pensare alla serie A non più come una maledizione sportiva: vederla con uno slancio che abbia in seno ottimismo, ambizione, una visione diversa da quella tossicità che le sconfitte più cocenti avevano causato.

Allora che siano pianti di gioia che sgorgano con la forza di un uragano, che sia l’inizio di un ciclo storico per la Salernitana.

Vedo bambini assiepare lo stadio, vedo bambini parlare di Salernitana con quel trasporto con cui ne parlavamo noi: sognando ad occhi aperti un giorno di indossare quella maglia. La salvezza con sé ha portato un’altra vittoria: creare una generazione che si appassionerà nel futuro più vicino. Vivendo di pane e Salernitana. La rivoluzione si fa almeno in due; qui segue una marea o meglio per citare il direttore: “un’emozione popolare”.

Non ho più forze e la commozione assume una pienezza che riempie il cuore. Vedo i protagonisti in campo: Radovanovic illuminare la sua corsa con un fumogeno in mano, Nicola sferzante di gioia esultare sotto ogni settore, Iervolino con un suo discorso sotto la Sud infervorare ed esaltare lo stadio intero, Bonazzoli commosso; Sabatini appagato assistere al trionfo di una sfida impossibile, risultata vincente. Mi appare tutto come se fosse un sogno e la paura tangibile che suoni la sveglia da un momento all’altro. Un film con un lieto fine così bello da aver paura che arrivi la fine e partano i titoli di coda.

Non è una semplice partita, non è solo calcio, non lo è mai stato: è il Sentimento di un’appartenenza viscerale, oltre ogni ostacolo, nonostante le innumerevoli avversità: la grande vittoria della Provincia nel Gotha del Calcio.

Dedicato a tutti i tifosi della Salernitana che non abbiano potuto vivere questo match. La loro assenza fisica trova spazio nel ricordo della collettività del popolo granata.

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