Roberto Baggio: eroe fragile

Roberto Baggio posiziona con cura la palla sul dischetto del rigore. Cammina a ritroso fino al limite dell’area. Si ferma qualche secondo. Respira. Scruta il portiere avversario come se volesse leggergli l’anima. Inizia la sua corsa verso il pallone con passi brevi e veloci. Tira. La palla vola, altissima, sopra la traversa della porta difesa da Taffarel. La regia internazionale inquadra di spalle il Divin Codino che prima rivolge lo sguardo verso il cielo e poi china il capo, incredulo e disperato, verso il terreno di gioco.

Il tutto dura 20 secondi.

Questo è dei primi episodi di cui ho memoriae credo valga lo stesso per la stragrande maggioranza di coloro che sono nati a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90.

È il rigore sbagliato da Roberto Baggio nella finale contro il Brasile ai Mondiali di USA ’94.

Di certo non una buona introduzione alla vita: una sorta di rito di iniziazione che ci fece intuire sin da subito cosa ci avrebbe riservato il futuro.

Il rigore più famoso della storia del calcio è un rigore sbagliato

È il 17 luglio del 1994 e allo stadio Rose Bowl di Pasadena, davanti a 95.000 spettatori, sta andando in scena la partita valevole per la finale dei Campionati del Mondo di Calcio di USA ’94.

A fronteggiarsi sotto i 40° del cocente sole californiano ci sono Italia e Brasile, giunte a quell’incontro all’esito di due percorsi diametralmente opposti tra loro: agevole e convincente quello dei giallo oro, a dir poco tortuoso quello degli azzurri.

Per inciso, in campo ci sono alcuni dei più grandi giocatori dell’epoca tra cui spicca il nome di un certo Franco Baresi, titolare a distanza di soli 25 giorni dall’operazione chirurgica al menisco subita a causa di un infortunio rimediato all’inizio della rassegna iridata. Tutt’oggi quel recupero lampo rappresenta un record nello sport professionistico mondiale e Baresi quel 17 luglio, come se non bastasse, si rese protagonista di quella che ancora oggi è ricordata come una delle migliori prestazioni difensive individuali della storia del calcio.

Tornando a noi, a distanza di quasi 30 anni, possiamo affermare con ragionevole certezza che quell’istantanea rappresenta la sintesi perfetta della vita e della carriera di Roberto Baggio.

Dopo essere stato individuato come il responsabile delle brutte prestazioni azzurre nelle prime gare della fase a gironi ed essere messo ai margini del progetto tecnico, a partire dagli ottavi di finale contro la Nigeria Baggio, da subentrante, indossò il suo costume da supereroe trascinando a suon di goal gli azzurri dapprima ai quarti contro la Spagna e, poi, in semifinale contro la Bulgaria di Hristo Stoičkov dove mise a segno un doppietta.

Tutto quanto di buono fatto nella fase a eliminazione diretta, tuttavia, rischiò di essere macchiato dal tristemente celebre e iconico errore dal dischetto che ancora oggi lo tormenta ma che, paradossalmente, gli ha permesso di entrare nella leggenda.

Perché Baggio con quell’errore mostrò al mondo di essere come tutti noi: un essere umano con le sue fragilità, con le debolezze, con i suoi demoni interiori che da sempre hanno fatto da contraltare a quel talento cristallino e irripetibile messo in mostra sul rettangolo verde.

Un eroe amato da tutti

L’universo sportivo è costellato di atleti straordinari ma in pochissimi sono riusciti a fare ciò che è riuscito a Roberto Baggio: l’essere amato da tutti, indistintamente.

La divisività è infatti una delle condanne che da sempre accompagna tutti i più grandi della storia dello sport. Michael Jordan, Diego Armando Maradona, Michael Schumacher, Le Bron James, Cristiano Ronaldo, Lewis Hamilton e Valentino Rossi, solo per citare alcune icone della storia recente dello sport, sono riusciti a muovere le masse ma, allo stesso tempo, hanno attirato su di loro le critiche, condivisibili o meno, dei propri detrattori.

Con Roberto Baggio, però, tutto ciò non è successo ed è accaduto l’esatto opposto.

Forse il motivo di questo amore universale e incondizionato risiede nel fatto che quella del Divin Codino è una storia di resilienza, di riscatto, di ribellione agli eventi negativi che il fato gli ha presentato lungo il proprio percorso.

Forse è accaduto perché il terribile infortunio al ginocchio patito quando vestiva la maglia del Vicenza a soli 18 anni avrebbe potuto privarci di uno dei talenti più cristallini che il calcio mondiale abbia mai vissuto, ma anche in quell’occasione Roberto dimostrò di essere differente.

Forse è successo perché quel ginocchio lo tradirà altre due volte ma in entrambe le occasioni, nonostante l’età avanzata e i dolori lancinanti che spesso lo costringevano a letto per giorni, Baggio ha saputo rialzarsi per dimostrare a sé stesso e a tutti noi di essere più forte della sfortuna.

Forse è accaduto semplicemente perché Baggio, a differenza dei campioni citati in precedenza, è sempre giunto a un passo dalla perfezione senza mai raggiungerla del tutto, sottostando come tutti all’incompiutezza della condizione umana.

Ciò avvenne anche nel 2000 quando, dopo l’altalenante esperienza all’Inter e i dissapori con Marcello Lippi, restò senza squadra perché considerato un giocatore problematico e a fine corsa. Anche in quel caso, tuttavia, il Divin Codino aveva in serbo per sé e per tutti noi altri progetti e alla fine il Brescia di Carletto Mazzone decise di puntare su di lui. Ebbe così inizio l’ultima romantica danza che con ogni probabilità è stata quella in cui Baggio ha dimostrato a tutti la sua grandezza.

In quelle quattro stagioni con la maglia della Leonessa, conditi da altri due infortuni al ginocchio, Baggio riuscì a disputare 95 partite mettendo a segno 45 reti, il tutto giocando praticamente da fermo.

Anche il Pallone d’Oro vinto nel 1993, pochi mesi prima del tristemente noto rigore di Pasadena, rende onore solo in parte a ciò che il Divin Codino ha rappresentato per il calcio mondiale e ciò perché quando si ha a che fare con uomini come Roberto Baggio, spesso, i risultati sportivi passano in secondo piano.

Il 10 azzurro per eccellenza è stato un punto di riferimento per intere generazioni che sono cresciute nel suo mito, nonostante Baggio nel corso della sua carriera non abbia mai fatto nulla per recitare il ruolo del divo.

Il Divin Codino è riuscito a farsi amare da tutti perché non si è mai vergognato di dimostrarsi un uomo qualunque, con le sue debolezze, con le sue paure, con le sue fragilità, nonostante sul rettangolo verde sia quasi sempre riuscito ad assurgere il ruolo di semidio. E neanche il rigore sbagliato in quel torrido pomeriggio in quel di Pasadena è riuscito ad intaccare la sua aura di sacralità perché anche in quell’occasione Baggio ha mostrato il suo volto umano.

Forse è per tutti questi motivi che ancora oggi Roberto è amato da tutti gli appassionati di calcio, o forse ciò accade perché rappresenta l’ultimo baluardo di un calcio primordiale e romantico che non esiste più e che con ogni probabilità non esisterà mai più in futuro.

La scelta di vivere lontano dai riflettori quando la quasi totalità dei suoi ex colleghi ha continuato ad orbitare attorno a quell’universo ci racconta una volta di più di quanto Baggio sia diverso da tutto e tutti e di come il Divin Codino stia continuando a indicarci la via anche con la sua assenza, come solo gli eroi romantici sanno fare.

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