Si arresta la corsa del Ddl Zan a Palazzo Madama: con 54 favorevoli, 131 contrari e 2 astenuti, il Senato ha affossato la legge, votando a scrutinio segreto la cosiddetta ‘tagliola’ promossa dai sovranisti. Con la complicità dei renziani, la variabile impazzita della politica italiana, la cui dichiarazione di voto esulava dagli obiettivi comuni di Pd, M5s e sinistra in merito all’approvazione della legge contro l’omotransfobia. Il centrosinistra era sicuro di poter contare su 149 voti, ma in sede di scrutinio due senatori si sono astenuti e ben 16 sono passati con il centrodestra. Il Gruppo Misto e Italia Viva, con l’assenza Matteo Renzi ormai assiduo frequentatore della penisola arabica, avevano annunciato il voto contrario, così come Pd, LEU e Movimento 5 Stelle. Spaccata Forza Italia. Ma i sospetti di tradimento riconducono alla formazione politica di Matteo Renzi, critica con il centrosinistra per aver fatto saltare le trattative sugli articoli più controversi del Ddl, e sostenendo a più riprese di voler riprendere i negoziati per raggiungere un compromesso e approvarlo con una maggioranza più ampia. Anche gli interventi dei senatori di Italia Viva, durante il dibattito parlamentare, hanno dispensato ostilità all’indirizzo della coalizione che sosteneva il Ddl, con addirittura la senatrice Bellanova che ha accusato il senatore del Pd, Alessandro Zan, primo firmatario del disegno di legge, di cercare visibilità. Un’argomentazione ormai ricorrente nel vuoto permanente e becero della politica italiana.
“I numeri della votazione con cui il Senato ha affossato questa mattina il testo Zan contro l’omotransfobia sono inesorabili: la nostra classe politica è in larga maggioranza omofoba“: lo dichiara Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay. Che prosegue: “Il margine con cui la maggioranza del Senato si è espressa, va ben oltre i confini delle destre, dei finti liberali di Forza Italia o dei cinici arrampicatori di Italia Viva. Ci sono responsabilità anche all’interno delle forze politiche in cui militano i parlamentari primi firmatari del testo. Insomma: c’è una responsabilità diffusa della politica, che ne esce fotografata in maniera implacabile. Questo Parlamento non è stato all’altezza delle sfide di questo tempo, l’argine all’omotransfobia continuerà a porlo il Paese, le rete informali, le associazioni, tutte le persone di buona volontà. Non lo Stato, che ancora una volta si gira dall’altra parte. Ringraziamo coloro i quali si sono battuti, a tutti gli altri consegniamo la nostra vergogna”, conclude.
La ‘tagliola’ è una procedura parlamentare che di fatto condiziona la sorte di un provvedimento. E’ prevista dall’articolo 96 del regolamento del Senato e prevede che, conclusa la discussione di un provvedimento, non si proceda all’esame degli articoli e al voto degli emendamenti, come da prassi. Con l’approvazione della tagliola, si arresta definitivamente l’iter parlamentare. Occorrerà ricominciare da zero attendendo almeno 6 mesi, per una proposta di legge che, una volta depositata, dovrà essere calendarizzata da uno dei due rami del Parlamento per la discussione.
Il disegno di legge depositato da Alessandro Zan del Pd, da molti considerato soltanto il minimo sindacale, frutto di già troppi compromessi al ribasso, ha subito gli effetti di un atteggiamento ancora diffuso nel Paese, svelto a riflettersi sull’operato di una destra regressiva in salute: l’invisibilizzazione delle identità, aspetto strutturale e per certi versi determinante della discriminazione e dell’emarginazione sociale. Si basa su un assunto semplice: se fingi che una cosa non esista ed eviti di parlarne, renderai quella cosa irriconoscibile. Il passaggio parlamentare odierno ha svelato ancora una volta il ritardo culturale e normativo di un Paese a digiuno di educazione alla sessualità e all’affettività. Resta un movimento di opinione mai conosciuto prima sul terreno della lotta per i diritti civili. Da cui ripartire senza consegnarsi allo sdegno o allo scoramento.