Rassegna(ta) stampa dal mondo/3

Ricordo una mattina di autogestione di qualche anno fa. Eravamo in 106 ragazzi, stipati in un’aula di liceo scientifico a sentire un improvvisato concerto rock. Nella fase due, quella con i separatori di plexiglass persino nei tavoli di ristorante, questo non sarà possibile. Gli edifici scolastici non sono progettati per evitare assembramenti, ci ricorda Andrea Gavosto, il direttore della Fondazione Agnelli. Servirebbero classi da 60 metri quadrati contro i due metri di una normale aula di scuola superiore. Come affrontare, dunque, il problema? Un’alternanza fra lezioni dal vivo e didattica a distanza, propone il Sole 24 Ore, una riorganizzazione del monte ore con più lavoro per insegnanti e presidi. Sarà anche difficile per gli studenti rimasti indietro, sarà difficile anche a causa dell’elevato numero di supplenti, dato che il termine per la nomina di insegnanti in ruolo è slittata al 15 settembre.

Assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti è il quarto dei diciassette obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU. L’Istituto Mediterraneo di Studi e Sviluppo Sostenibile (in inglese IMEDD) li ha analizzati tutti in una recente ricerca, evidenziando come la chiusura delle scuole e la conseguente didattica a distanza potrebbe avere ricadute negative sulla qualità dell’insegnamento e di conseguenza sulle competenze degli studenti. Non sembrano esserci conseguenze sul numero di laureati e diplomati, mentre non si riesce a prevedere il fenomeno dell’abbandono scolastico. Inoltre l’interruzione delle attività produttive interrompe anche la formazione dei lavoratori. Insomma, la fase due deve cominciare per tutti.

Anche per gli stagisti, quei poveracci che hanno superato più o meno indenni la scuola e che ora faticano a trovare un posto nel mondo. Esclusi quasi del tutto dal decreto di fine marzo, che pure ha messo in campo misure di welfare senza precedenti. Gli stagisti, cui appartengo da inizio anno, rischiano di essere vittime indirette della pandemia. Brutto ricevere una mattina, con un piede già fuori di casa, una telefonata che ti avvisa di non venire al lavoro perché è troppo pericoloso. All’inizio sembrava tutto sospeso fino al 15 aprile, poi è diventato fino a data da destinarsi. Io sono anche fortunata perché il mio tirocinio dipende dal SIL (servizio di integrazione lavorativa) e certo non rappresenta la mia unica fonte di sostentamento. Ma l’emergenza rischia di minare la fragile indipendenza economica raggiunta da molti giovani, un’idea potrebbe essere di includerli nella platea dei beneficiari del Reddito d’emergenza. Alcune regioni si sono attrezzate con lo smart working anche per loro e la proroga del periodo di stage oltre la scadenza prevista. Certo è un brutto momento per inserirsi nel mercato del lavoro. Come si legge nella già citata ricerca dell’IMEDD all’analisi dell’ottavo obiettivo: <<Sui temi del lavoro dignitoso e della crescita economica gli effetti dell’emergenza sanitaria dovrebbero incidere in misura particolarmente negativa nel complesso e su tutti i singoli indicatori. Il blocco prolungato di gran parte delle attività economiche porterà a un calo del Pil, dell’occupazione e a un contemporaneo aumento della disoccupazione, della quota di part-time involontario e dei NEET>>. Inoltre pare proprio che saremo più poveri in tutto il mondo, questo subito guardando al primo obiettivo ONU, quello di cancellare ogni forma di povertà.

In generale la mia generazione è rassegnata a essere povera, mentre io sono quasi rassegnata a essere giornalista.

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