Avrebbe dell’incredibile e maturerebbe contro ogni pronostico. Eppure, la recente storia politica italiana insegna che i ribaltoni sono possibili e che affermano non soltanto l’esigenza di costituire un fronte comune contro un avversario in ascesa ma anche la volontà di imboccare, seppur in maniera tardiva, un percorso unitario, fondato sulla convergenza tra forze dapprima antagoniste. Su queste basi è nato il governo giallorosso, esperienza che adesso affronta il delicato test elettorale nelle regioni al voto. Tra queste, l’Emilia Romagna, mai come in questa tornata in bilico: nella regione rossa per eccellenza, centrosinistra e pentastellati concorrono in solitaria su input preciso dell’elettorato avvezzo a frequentare la piattaforma Rousseau. A fungere da barriera al cospetto del vento leghista che spira anche sulla rossa Emilia, saranno Stefano Bonaccini e la coalizione di centrosinistra, saldamente in vantaggio nelle ultime rilevazioni, con i grillini destinati a recitare il ruolo di comparsa, ben al di sotto di un risultato a due cifre. Sono gli effetti del nuovo bipolarismo all’italiana: centrosinistra contro centrodestra a trazione leghista, uno schema che esclude il Movimento da qualsiasi velleità di governo locale (e in futuro, potenzialmente, anche nazionale). E’ l’elemento su cui ragionano i vertici, ormai liberi dalla zavorra filo-leghista (Paragone & Co.). Un’alleanza politica e programmatica con i partner di governo per provare a condurre i temi e le visioni del Movimento all’interno di un quadro governista. Non in tutte le regioni, s’intende. In Liguria, Puglia e Toscana, ad esempio, il Movimento ha lanciato le “regionarie” per scegliere un candidato, a differenza di Veneto, Marche e Campania, dove sono in corso valutazioni relative alle ipotesi di alleanza con il centrosinistra.
In Campania, dove il dialogo prosegue da mesi ininterrottamente, la trattativa è definitivamente decollata. Lo confermano direttamente fonti di entrambi gli schieramenti. Nel Partito Democratico gli indirizzi della segreteria di Zingaretti contrastano con la ricandidatura di De Luca. Negli ultimi mesi la spaccatura all’interno del partito è stata palese: da un lato coloro che, pur favorevoli al supporto dei 5s, consideravano imprescindibile una linea di continuità, dall’altro i sostenitori di una piena intesa con i pentastellati e con il movimento di Luigi De Magistris. Allo stato attuale nessuna delle due parti ha prevalso ma diverse anime del partito, anche in Campania, non escludono più l’alleanza con il Movimento, che porterebbe in dote una valanga di voti (è dato al 26% dai sondaggi, ossia prima lista), capace di chiudere la partita e di rispedire nuovamente a casa il centrodestra.
Ma il grande tessitore è il sottosegretario Vincenzo Spadafora, uomo forte del nuovo corso 5s. In Campania, il dialogo con il Pd non si è mai chiuso ma la condizione posta è sempre stata una e categorica: mai con Vincenzo De Luca. Attorno alla trattativa ruotano nomi già precedentemente sussurrati. Tra tutti ne spicca uno: la figura dell’attuale ministro dell’Ambiente Sergio Costa. L’ipotesi della sua candidatura non è più un mistero, sul suo nome le parti hanno glissato per mesi, proteggendolo da un’esposizione dannosa e prematura. Ma l’assenza di una smentita è stata anche questa un indizio. Lo stato maggiore del Movimento, d’intesa con il Nazareno, starebbe pensando proprio a una figura del calibro di Costa per lanciare un segnale di assoluta discontinuità con l’attuale giunta e per godere di una candidatura in grado di rendere fortemente competitivo il progetto del M5S all’interno di una coalizione con il centrosinistra. Una figura traversale, capace di pescare in altri bacini elettorali e di smuovere chi, disilluso da un certo modo di concepire e gestire la cosa pubblica, investito dagli effetti di una perdurante crisi di rappresentanza, andrebbe inevitabilmente a riempire i serbatoi del più grande partito mai esistito in Italia negli ultimi quindici anni, quello dell’astensione.
La trattativa gode del contributo di altri illustri interlocutori, tra cui il sindaco di Napoli Luigi De Magistris e il suo movimento Dema, che da tempo architettano la spallata al “nemico” De Luca. E poi c’è Sinistra Italiana, che già nelle scorse settimane aveva auspicato un passo indietro di tutti gli aspiranti per “costruire una proposta che abbia come obiettivo il miglioramento della qualità della vita delle persone”. La posizione di Sinistra Italiana, espressa dallo stesso Nicola Fratoianni, è chiara: costruire rapidamente un’alternativa, uno schieramento alternativo largo su una base programmatica avanzata che metta al centro sviluppo, ambiente, occupazione e che su questo incalzi tutte le forze democratiche alla destra. Sul fronte antideluchiano non sono soli. Tra i partiti che appoggiano la compagine di governo, si registra lo scetticismo dei renziani di Italia Viva, ostili a un bis dell’ex sindaco di Salerno.
L’alleanza, in termini numerici, appare indispensabile a tutti ma pubblicamente nessuno all’interno del Pd si è azzardato a porre veti sulla candidatura del governatore in carica. La difficoltà dell’operazione è rappresentata, infatti, proprio dal peso specifico elettorale di Vincenzo De Luca, in campagna elettorale già da mesi come testimoniano le pagine della Regione Campania, pullulanti di annunci e traguardi raggiunti. Una macchina oliata sui territori, che ha incassato l’endorsement di figure di riferimento del calibro di Ciriaco De Mita (una buona fetta di voti dell’Irpinia, De Luca se li è già assicurati), che riscuote in molti casi un consenso di tipo clientelare, che dispone di un modello di governo già consolidato da presentare agli elettori. Che, stando all’ultimo sondaggio di Winpoll per il Corriere del Mezzogiorno, lo premierebbero con il 39,5% rispetto al 36,7% su cui si attesterebbe lo sfidante Stefano Caldoro. Sarà disposto il Pd a rinunciare a tutto questo per avviare un nuovo corso politico?