Un vero e proprio bagno di sangue. Quello cui il comparto della ristorazione, forse quello maggiormente colpito dall’emergenza sanitaria legata al Coronavirus, si è trovato suo malgrado vittima. Da un anno ormai a questa parte, fatta eccezione per la boccata d’ossigeno da un punto di vista economico tirata in estate, la luce in fondo al tunnel sembra ancora lontana, specie dopo la prima zona arancione della Campania nel 2021, e il concreto rischio di un nuovo ritorno alla zona rossa dopo l’aumento dei contagi degli ultimi giorni.
Alfredo Favero, titolare de “La Botte Pazza” e “Pazza Marea”, locali simbolo della movida del centro, racconta la sua esperienza. “Non siamo ancora arrivati al punto di vedere la luce, o quantomeno di capire in che punto del tunnel siamo. Sono d’accordo sul fatto che al primo posto ci deve essere la sanità, ma immediatamente dopo penserei all’economia. Ho trovato di cattivo gusto l’ennesima chiusura annunciata di venerdì sera, queste decisioni prese sempre nel weekend ci portano a buttare la spesa fatta per il fine settimana, unici giorni che ci permettevano almeno di respirare, abbiamo dovuto annullare anche le prenotazioni, 62 coperti già fissati. Capisco che nessuno poteva prevedere nello scorso marzo ciò che è successo, ma a distanza di un anno mi aspetto un altro tipo di misure, anche per quanto riguarda i ristori. Nessuno pensa ai costi fissi che sono indispensabili per rimanere aperti, si parla di 4-5 mila euro di utenze mensili, la vera mazzata è aprire per quindici giorni, poi richiudere, vivere in questa costante incertezza, quando il lavoro del ristoratore è basato soprattutto sulla continuità”. Sull’ipotesi di “convertire” il locale con consegne a domicilio o asporto, risponde così. “Ho un’idea di ristorazione basata sull’accoglienza, sull’atmosfera, si limiterebbe tutto quello che è racchiuso nella Botte Pazza. Non condanno assolutamente chi si è trasformato, ma io fino a quando reggo non voglio fare questa conversione”.
Paolo De Conte, titolare del ristorante Popilia, punto di riferimento dei picentini, offre li suo punto di vista. “Il problema c’è, non lo voglio sminuire, ma è la gestione del problema a lasciarmi perplesso. Non si può decidere di farci chiudere dalla sera alla mattina, ho dovuto disdire personalmente tutte le prenotazioni, chiamando i clienti per avvisarli della chiusura, senza parlare della spesa praticamente buttata. Credo che o si chiuda tutto o il problema non sarà mai risolto, anche perché da queste parti sono scoppiati alcuni focolai per diverse feste e cene private, spero almeno che con il nuovo DPCM le decisioni vengano prese a partire dal lunedì, e non nel fine settimana”. Paolo ha provato a lanciare l’asporto e le consegne a domicilio, anche se, per sua stessa ammissione, il locale è sito in una zona non particolarmente felice per questo tipo di opzioni. “E’ tutto molto limitato, si fa qualcosina il sabato, ma c’è poco movimento in generale, e non è ammissibile pensare di salvarsi in questo modo per una struttura come la nostra, che ha dovuto rinunciare anche al periodo dei banchetti, questa è stata la vera bastonata. Lo si fa per continuare a tenere vivo il nome del locale, per provare a far girare un po’ il marchio sui social, o magari conservare qualche cliente per quando potremo aprire definitivamente, ma non nascondo che temo che queste chiusure vengano confermate anche per il periodo di Pasqua”.
C’è poi chi, come Emanuele Rizzo, titolare della Cantina Rebelde, sita a Pastena, prova a sopravvivere con una nuova trovata, un modo per tentare di respirare in un momento quantomai delicato. “Abbiamo pensato a dei buoni spendibili da giugno in poi, quando se saremo ancora in attività chi ci avrà sostenuto potrà consumare quanto speso. Si tratta di un piccolo investimento sulla fiducia e sul bene reciproco – racconta non senza amarezza-, anche perché è un tentativo disperato, se non ci saranno misure che ci possano aiutare sarà decretata la morte, e non solo del nostro locale. I costi fissi sono di 4-5 mila euro mensili, senza parlare dei mancati guadagni, sono mesi che dobbiamo tirare fuori migliaia di euro di tasca nostra per non chiudere, e in più abbiamo perso anche quel piccolo sostegno che potevamo avere lavorando ai tavoli. Siamo aperti per consegne e per asporto, ma ci sono serate nelle quali ti chiamano per due panini, e se va bene fai 20 euro di incasso. Come si può pensare di andare avanti così? I fornitori, i proprietari del locale, vogliono ciò che gli spetta, e il venerdì devo sapere che il sabato e la domenica, con la Cantina già piena di prenotazioni, devo rinunciare anche a questa boccata d’ossigeno. Lo sconforto è enorme, e incide non solo a livello economico, ma anche psicologico, io e miei dipendenti ci guardiamo in faccia, le serate sembrano interminabili. Questa idea del buono ha avuto un primo riscontro, spero che possa andare avanti in queste settimane, ci darebbe anche la fiducia di proiettarci all’estate, e soprattutto di restare aperti magari sperando che qualche cliente entri per sostenerci e per scambiare due chiacchiere dopo aver acquistato il buono. Anche se, mi preme insistere, è il Governo che deve aiutarci, prima delle dimissioni di Conte si era parlato di un ristoro sulle differenze di fatturato tra 2019 e 2020, dalle quali sarebbe stata risarcita una percentuale ai ristoratori. Quella sarebbe stata una cifra importante per noi, per respirare, ma dopo la caduta del Governo si è fermato tutto, spero solo che la macchina non si ingolfi di nuovo. Fa male pensare a questo comparto in crisi, mentre ogni giorno si vedono in giro migliaia di persone, senza controlli di alcun tipo, o si permette a cinquanta persone di entrare in un supermercato, dove sono già comparsi diversi frigoriferi con bibite e birre fresche, che bar, locali e ristoranti non possono vendere…”.