Nord-Sud, il divario aumenta. E l’incertezza indebolisce la ripresa

Dopo lo shock della pandemia, l’Italia ha conosciuto una ripartenza pressoché uniforme tra macro-aree. Il rimbalzo del PIL 2021, guidato dal binomio di investimenti privati (in particolare nel settore delle costruzioni) ed export, si è diffuso a tutte le aree del Paese, ma è stato più rapido nel Nord. Contrariamente alle passate crisi, il Mezzogiorno ha però partecipato alla ripartenza anche grazie all’intonazione insolitamente espansiva delle politiche a sostegno dei redditi delle famiglie e della liquidità delle imprese. Il PIL del Mezzogiorno – calato dell’8% nel 2020 (-9% il calo a livello nazionale) – è cresciuto infatti del 5,9% nel 2021 (a fronte di una crescita nazionale del +6,6%). E’ quanto riportato dallo SVIMEZ, nelle Anticipazioni del Rapporto 2022 sull’economia e la società del Mezzogiorno.

Tuttavia, il trauma della guerra ha cambiato il segno delle dinamiche in corso a livello globale: rallentamento della ripresa; aumento del costo dell’energia e delle materie prime; comparsa di nuove emergenze sociali; nuovi rischi di continuità economiche per le imprese; indeterminatezza delle conseguenze di medio termine dei due “cigni neri” della pandemia e della guerra, la cui comparsa a distanza così ravvicinata, rappresenta di per sé un fatto del tutto inedito. In un contesto di policy anch’esso in evoluzione per l’avvio della fase di rientro dalle politiche di bilancio e monetarie espansive.
Queste dinamiche globali avverse hanno esposto l’economia italiana a nuove turbolenze, allontanandola dal sentiero di una ripartenza relativamente tranquilla e coesa tra Nord e Sud del Paese, con conseguenze di medio termine che si prospettano più problematiche per le famiglie e le imprese meridionali.

Il picco dell’inflazione del 2022 dovrebbe interessare in maniera più marcata il Mezzogiorno (8,4%; 7,8% nel Centro-Nord), dove dovrebbe essere più lento anche il rientro sui livelli pre-shock. Questa dinamica dovrebbe determinare impatti più pronunciati sui consumi delle famiglie e sulle scelte di investimento delle imprese, anche con potenziali problemi di continuità aziendale più concreti nel Mezzogiorno.

Successivamente alla caduta del Governo Draghi, sono emerse delle tensioni nei mercati finanziari internazionali segnalate dal repentino innalzamento dello spread. Le “tradizionali” preoccupazioni sulla tenuta dei nostri conti pubblici sono state accompagnate dai timori che il tempo necessario per le nuove elezioni politiche e la formazione del nuovo esecutivo possa rallentare il rigido cronoprogramma su cui è basata la piena implementazione del PNRR. La SVIMEZ valuta che, rispetto allo scenario base, una prolungata situazione di tensione nei mercati finanziari possa determinare una perdita di PIL, nel biennio 2022-2023, di circa sette decimi di punto percentuale a livello nazionale. Nel Sud, la perdita di PIL
arriverebbe al punto percentuale, mentre nel resto del Paese risulterebbe più contenuta arrestandosi a sei decimi di punto.

L’aumento dei costi dell’energia incide maggiormente sui bilanci delle aziende del Mezzogiorno perché qui sono più diffuse le imprese di piccola dimensione, caratterizzate da costi di approvvigionamento energetico strutturalmente più elevati sia nell’industria che nei servizi. Inoltre i costi dei trasporti al Sud sono più alti, oltre il doppio rispetto a quelli delle altre aree del paese. Quindi il sistema produttivo meridionale si dimostra più fragile rispetto all’impatto della guerra. Si stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10%, a parità di cose, determini al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia, rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi con possibili conseguenze sul mantenimento dei livelli occupazionali.

E l’occupazione al Sud cresce ma peggiora la qualità del lavoro. Nel I trimestre del 2022 l’occupazione del Mezzogiorno è tornata a livelli del primo trimestre del 2020 con ancora 280mila posti di lavoro da recuperare rispetto al primo trimestre 2009. Il recupero dell’occupazione nel 2021 è però interamente dovuto al Sud ad una crescita dell’occupazione precaria (dipendenti a termine e tempo parziale involontario). Nel Centro-Nord, riprende a crescere anche il tempo indeterminato. Dalla crisi del 2008, il
progressivo peggioramento della qualità del lavoro, con la diffusione di lavori precari ha portato ad una forte crescita dei lavoratori a basso reddito, a rischio povertà. Intervenendo in un mercato del lavoro già segnato da una crescita dell’occupazione «senza qualità», la ripresa dell’occupazione del 2021 nel Mezzogiorno si è concentrata sulla crescita del lavoro precario che ha «spiazzato» le forme di impiego più stabili.

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