Nina Maroccolo è stata un’artista trasversale a tutto tondo: scrittrice, cantante, artista, performer, sempre votata a una grande sensibilità che rimarca la nobiltà dell’essenza meta culturale. Simbiotico il suo essere in tutt’uno con la Natura, come forma di abbattimento di ogni visione corporea, mescolando prosa lirica, ricerca musicale, pittorica e fotografia visionaria; un impegno ecologista sincero, reale, di totale devozione e lontano da ogni formalità non militante.
L’autrice e le pubblicazioni
La Maroccolo, durante gli intramontabili anni Ottanta, è stata mezzo soprano nel coro a otto voci della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e soprattutto ha partecipato attivamente a un’esperienza editoriale come la City Light Italia del poeta, appartenente alla rinomata Beat Generation, Lawrence Ferlinghetti e di Antonio Bertoli.
Esce nel 1999 Il carro di sonagli, il suo primo libro, totalmente sperimentale, innovativo, in cui il fil rouge della poesia, prosa e canzoni affascinano la poetessa Alda Merini che decide di scriverne la prefazione, omaggiandola così.
Anche qualche anno più tardi nel singolare Annelies Marie Frank (Empirìa, 2004), sotto consiglio di Eraldo Affinati, è promotrice di un moderno romanzo in versi sulla figura della celebre eroina del “Diario”. Da qui, di nuovo una visione di mescolanza poetica, che si traduce in ancora un’altra azione di riscrittura sinergica: dal libro allo spettacolo, attraverso il talento e l’ardimento.
Nello stesso periodo, infatti, la sua Anna Frank cavalca il palcoscenico del Teatro Vascello, a Roma. È l’anno in cui la Maroccolo si trasferisce nella Capitale e comincia a occuparsi della trilogia: I posteri del Moderno, fra poesia (Illacrimata, Tracce, 2011, saggio introduttivo di Paolo Lagazzi), romanzo (Animamadre, Tracce, 2012 prefaz. di Fabio Pierangeli, postfaz. di Ubaldo Giacomucci) e racconto (Malestremo, “Sedici viaggi nell’Altrove” prefaz., di Marco Palladini).
Con Marco Palladini, autore e regista, poi, nel 2014, mette in scena Me Dea, in cui recita e canta le virtù del mito (assieme a Giulia Perroni, Roma, L’Aleph, 2014). Una Medea postuma anche a sè stessa, moderna ma essenzialmente spirituale e che affiora le proprie radici nella tragedia euripidea; un vero e proprio viaggio salvifico, tra il mistico e il trascendentale e che trova il proprio riverbero tra le voci dei Figli, di Giasone, della Nutrice e del Coro.
La rivoluzione degli eucalipti
«Dal duemilaquattordici a oggi, ho vissuto gli eucalipti innestati nel boschetto delle Tre Fontane all’inizio dell’Ottocento. Li ho vissuti quasi ogni giorno, seguendo i loro cambiamenti, i linguaggi, un sentire straordinariamente rivelatorio. Nel boschetto si compiono riti di passaggio, di conoscenza e forte empatia. Scriverò dell’albero della protezione. La caratteristica propria di mutare. Le sue mute, quasi scorticamenti di pelle. Scrivo con gli alberi, assieme a loro. La mia vita è infibrata del loro esistere. Si fa espressione dei sentimenti più puri. Si chiama: devozione».
[Nina Maroccolo]
Di recente, prima della prematura scomparsa, l’artista, culmina il profondo impegno ecologista, che, appunto, si concretizza nel 2021, con la sua consacrazione assoluta: La rivoluzione degli eucalipti, in grande mostra (Roma, Galleria d’Arte Moderna, maggio-ottobre 2021), con Claudio Crescentini, che le consente di allestire le sue opere vegetali come un grande e corale appello alla nostra amata Madre Terra.
Si apre così l’opera ultima di Nina Maroccolo, primo volume della collana Le Sibille, sinestesia assoluta tra fotografie, percorsi iconografici non-figurali, strutture totemiche e mandala, ricreati attraverso gli scarti vegetali dell’eucalipto, che diventa, di nuovo, azione salvifica, lacerante ed equilibrante, attraverso il grembo della Natura stessa, offeso intimamente dalle infinite emergenze sociali e umane.
Ecco che ritorna prepotentemente la forte denuncia civile che leopardianamente sfida il collasso esistenziale e cosmico, attraverso la rinascita, che sorvola la morte del corpo, radicandosi nella caratteristica del mutare, paragonabile agli scorticamenti di pelle.
Il catalogo, curato da Plinio Perilli, suo compagno di vita, edito da Disvelare edizioni, è stato curatoda Vincenzo Notaro, che per l’occasione ha dichiarato:
«In quest’opera ci sono le chiavi simboliche di una disciplina arcani a uso di noi occidentali contemporanei. Tra lirica e fotografia, in una devozione profondissima e commovente, Nina attraversa dal vajrayāna all’ars combinatoria, smuovendo le segrete rispondenze ermetiche, fotografando le cicatrici di una donna che ha guardato in faccia la vita, la morte, la resurrezione, il dolore e l’estasi della gioia, e ha ritrovato una tale armonia con la Natura da riuscire a scioglierne il misterioso cuore».
Il ricordo
«Nina se l’inghiotte, il Tempo, lo irride o gli è devota, con la sua piccola Nikon fedele, quasi briose prove di tettonica, anima orografica: carmi o labirinti petrosi, porosi, cicatrici di segni – dunque nuovi gesti con cui romanzare l’impossibile forma dell’Informale, riazzerarlo non più a pensiero, a stilema, ma a frammento da riabitare, riabilitare di sguardi…».
[Plinio Perilli]
«Nina è riuscita a produrre un balsamo – veram medicinam – che concilia mistica e scienza, arte e natura, toccando tematiche di stringente importanza: la violenza, il cancro, la crisi ambientale… la Grazia, Dio, Avalokiteśvara…».
[Vincenzo Notaro]
«In Nina Maroccolo si coniugano coraggio visionario, profonda spiritualità, generosità empatica e capacità medianica».
[Lucia Guidorizzi]
«Nina Maroccolo è questo paziente, metodico, ispirato / Artifex che con callide manipolazioni e tecniche di abluzioni / Trasduce l’eucaliptico fogliame e cortecciame / In un magico paesaggio inedito».
[Marco Palladini]
«Uno sguardo, quello di Nina Maroccolo, che s’avventura ben oltre quello che è in luce e che procede, dall’ideale grigio-cobalto, blu argento e turchino, delle acque, fin dentro le alte corti dei nembi tempestosi e oscuri del cielo».
[Anna Maria Corbi]