MM Ceramica: la storia di una passione divenuta professione

“Non mi sento un artigiano super classico. Riprendo dalla tradizione il legame con i luoghi, con le persone. Ma ragiono in ottica glocal. Faccio riferimento a una cultura globale”. Sono queste le parole di Martina Marchi, una giovane ceramista salernitana.

Quando la passione diventa professione: come tante volte accade, anche per lei quello che era un semplice hobby serale – basti pensare che produceva tazzine da utilizzare a casa sua – è diventato poi un vero e proprio lavoro. E, come tutte le storie di chi – con la passione che da sempre è il motore che muove il mondo e con la determinazione di chi vuole farcela con le proprie forze anche a costo di mettere in discussione ripetutamente se stesso – merita di essere raccontata.

Tutto partì da Urbania e, precisamente, dal corso di laurea triennale in tecnologie per la conservazione ed il restauro dei beni culturali. Poi – dopo diverse esperienze di lavoro come restauratrice – l’ingresso nell’Associazione Amici della Ceramica di Urbania. Da qui l’incontro con Mirko De Nicolò, che (forse) inconsapevolmente le cambiò la vita. Fu proprio grazie ad un suo suggerimento che Martina si trasferì a Faenza, dove si iscrisse alla laurea specialistica in “Tecniche dell’industria ceramica”. Fu proprio allora che la sua strada iniziò a delinearsi. Dopo il passaggio in varie fabbriche (perlopiù come stagista), decise di diventare libera professionista: capì che aveva qualcosa da dire, e aveva l’esigenza di dirlo. Per farlo, scelse la sua città natale, Salerno, anche per provare ad essere di ispirazione a tanti giovani come lei, per spingerli ad essere intraprendenti e a non avere paura di seguire le proprie idee. Nasce così MM Ceramica, che ad oggi produce piccola stoviglieria e prodotti da giardino.

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E non solo. Perché prima di arrivare a questo, sono state diverse le tappe di Martina. Prima tra tutte la collaborazione con Marco Cammarata, con cui inizierà a produrre souvenir. La seconda fu LEVA, laboratorio di cultura materiale, nato come laboratorio ibrido tra una sarta, un architetto, una fotografa, una ceramista, che partecipò al bando di “Fabbrica Salerno”, vincendo la call per l’idea, a cui ha fatto seguito un periodo di tutoraggio per il business plan (che ha avuto poi uno stop). Ultima – non per importanza, ma solo per tempistiche – il CAD (Centro per l’Artigianato Digitale), un centro pionieristico residente a Cava De’ Tirreni. Nato dall’incontro tra il Comune e la Medarch – tutto partì dal recupero di un mercato coperto del pesce, nell’ambito di un processo di rivalorizzazione da parte del Comune, che la Medarch vide come una possibilità di unire più competenze che volessero innovarsi dal punto di vista del processo e di comunicazione – il centro permette di studiare ed approfondire le tecnologie di gitali per la produzione, dal processo ideativo (il disegno digitale) alla comunicazione (soprattutto sul web). A gennaio 2020 spegnerà la sua prima candelina potendosi avvalere di professionisti del settore come Martina, che oggi decora piastrelle con il laser.

Sarà proprio questa tappa che permetterà a Martina di sentirsi più sicura di sé e delle sue competenze: per lei è stata in questi mesi ed è ancora una vera e propria scuola, in cui può fare pratica, può imparare, può sperimentare. E ad oggi lo è tanto da volersi continuare a mettere in gioco: nei suoi sogni – anche se forse sarebbe più corretto parlare di progetti – c’è la fondazione di una vera e propria startup, sempre dal nome MM Ceramica. Perché l’artigianato – soprattutto a Salerno – non è morto. È semplicemente diverso rispetto a prima. Si è innovato, si è evoluto, non ha rispettato la sua storica tradizione e ad oggi deve appoggiarsi al mondo del web per restare in piedi, come afferma la stessa Martina: “L’artigianato è sempre più distante dalle persone comuni. Le produzioni sono in scala. Da quando la bottega ha perso posto nella città, l’artigiano non è più conosciuto come prima. Ora deve fare riferimento al web per restare in vita”. Nonostante ciò, però, secondo lei non c’è affatto da meravigliarsi – perché tutto è destinato a cambiare nel tempo e niente resta com’era – né tantomeno da preoccuparsi: “La tradizione si innova quando si mette in gioco. Quello di artigiano si è evoluto come lavoro, ma il mondo d’oggi lo richiede sempre di più. Tutti si stanno stancando di vedere cose tutte uguali tra loro. La varietà è essenziale. Oggi anche in questo settore è necessario un lavoro di branding”.

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Del resto si sa. Oggi il web regna sovrano. È legato ormai a (quasi) tutte le attività, (quasi) tutti i settori. Ha un potere unico al giorno d’oggi: “Oggi se non ci si informa non ci sono scuse. È possibile conoscere, capire cosa si sta comprando. Ha un senso creare un legame con ciò che si possiede, per favorire un’economia circolare che spinga a riciclare ed evitare il consumismo”. E poi, collegandosi alla sua produzione e alla sempre più diffusa propensione globale agli acquisti quasi compulsivi, non basati su una reale necessità, aggiunge: “Abbiamo bisogno di meno cose di ciò che abbiamo. Io produco oggetti che ritengo siano funzionali e possano coccolare il nostro ego, nel senso buono. Io sono consapevole che i miei prodotti non possano essere comprati tutti i giorni. Ma forse è anche meglio così. Io produco ciò che ritengo davvero necessario”.

Il lavoro dell’artigiano è davvero interessante ed affascinante, ma è altrettanto difficile. Siamo tutti abituati a vedere un prodotto finito, senza conoscere davvero tutti gli sforzi che hanno portato alla sua realizzazione: “Al CAD viene insegnato ai bambini a produrre le proprie cose, come fosse un grande gioco. Quando c’è curiosità anche il lavoro di artigiano ne giova. Se si capisse tutto il processo che c’è prima che un prodotto sia finito si apprezzerebbe di più ciò che si ha”. Ed è un concetto che andrebbe ampliato ed applicato a tutto. L’impegno non sempre viene ripagato del tutto. Ma quantomeno dovrebbe essere riconosciuto.

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