Infodemia, libertà professionale, soggettività e deontologia sono solo alcuni dei temi messi in campo nel pomeriggio di ieri, 12 aprile, durante il primo incontro di Informa(L)mente; Masterclass in Giornalismo che ha visto come primo ospite il Dottor Marco Damilano, direttore de l’Espresso dall’ottobre 2017.
Ben lieto di prendere parte al seminario nelle vesti di protagonista, dopo aver portato agli studenti dell’Ateneo di Salerno la propria testimonianza, il direttore ha posto l’accento su alcune tematiche che a suo avviso racchiudono l’essenza stessa di “Fare Giornalismo”. Essere giornalista, come ci spiega Damilano, significa dapprima saper leggere e raccontare tutto ciò che ci circonda; saper scrivere la realtà, senza cascare nei tranelli (per così dire), a cui ci sottopone questa professione così affascinante, da un lato, è colma di tagliente responsabilità dall’altro.
Al giorno d’oggi, in un contesto in cui il giornalismo si svolge su più piani, su più piattaforme e attraverso più strumenti, si assiste a quello che Damilano definisce “Giornalismo Semaforo”, una forma di giornalismo piatta, che si limita a fornire notizie, sempre a caccia di scoop e noncurante delle fonti. Queste ultime sono infatti essenziali per raccontare e trasmettere, al meglio, la realtà. Si riallaccia dunque al discorso iniziale, per sottolineare quanto sia essenziale dare voce ai fatti, alle persone, per trasmettere qualcosa che vada al di là della sterile notizia.
Oggi le fonti si muovono anche autonomamente sulla rete, senza la mediazione e senza la possibilità di smentirle o interpretarle. Questo è un altro cambiamento fondamentale. Oggi la fonte non ha più bisogno della mediazione giornalistica. Chi fa giornalismo deve dunque capire come riattivare questo legame di mediazione senza ridursi ad essere pura cassa di risonanza.
Noi tutti viviamo nell’epoca dell’onnipresenza dell’informazione. Viviamo in una stagione in cui l’informazione sembra sconfitta, proprio a causa di un tale flusso di informazioni. Chi fa vera informazione viene tenuto in seconda parte. Ciò ci porta a ragionare sul nostro mestiere. Siamo in un’epoca di frammentazione, le trasmissioni televisive, il fotogramma, un grande evento che dura ore, ecc. Non conosciamo il prima e il dopo di un evento. Funzione del giornalismo, ricostruire l’evento, unire i puntini.
Questo uno dei temi più discussi all’interno del seminario, tematica che ha posto l’accento sulla questione dell’eccessiva informazione a cui tutti siamo sottoposti quotidianamente e che mette in scena nuove sfide e ulteriori problematiche, come la questione dei limiti del giornalista.
Di grande impatto è stato, inoltre, il monito del Direttore Damilano che ha riguardato quelli che non solo sono intesi come gabbie in cui delimitare spazio e tempo (ovvero prettamente legati alla stesura dell’articolo o alla realizzazione di un servizio televisivo), bensì quei limiti che fanno parte del codice deontologico ed etico della professione.
L’incontro si è poi concluso con la riflessione su tre concetti chiave che, secondo l’insegnamento del Direttore Damilano, accompagnano il giornalista lungo l’intero percorso della propria carriera. Abbiamo così un tridente composto da Memoria, Profondità e Soggettività.
Ricordarsi dunque di avere memoria del passato per raccontare meglio il presente, tenendo conto della profondità, dello spessore dell’evento narrato, senza dimenticare mai la nostra soggettività l’unica cosa che, a suo avviso, contraddistingue la personalità di chi racconta la realtà, a differenza di un semplice algoritmo.