L’epifania del D10S: lo scenario di Inghilterra-Argentina a Messico ‘86

“Maradona, in una corsa memorabile, nella miglior giocata di tutti i tempi. Aquilone cosmico. Da quale pianeta sei venuto?”

Questo è un estratto di una delle radiocronache più iconiche della storia dello sport mondiale.

La voce, completamente alterata dall’incredulità e dalla commozione per aver assistito a un evento che trascende la normalità, è quella di Victor Hugo Morales, giornalista e radiocronista uruguaiano che ha accompagnato il goal più bello di tutti i tempi: quello di Diego Armando Maradona contro l’Inghilterra ai Mondiali di Messico ’86.

Quella partita ha consegnato al mito “La mano de Dios”, di un Dios capace nel giro di esattamente cinque minuti di mettere a segno il goal di mano più famoso della storia del calcio e quello più bello di sempre. Genio e sregolatezza, talento e dannazione: la sintesi perfetta di un uomo come Diego che ha vissuto a marce elevate.

La guerra delle Falkand: il primo tempo di Inghilterra-Argentina

Per capire perché Maradona e l’Argentina giunsero alla partita contro l’Inghilterra come se stessero per scendere in guerra, bisogna andare indietro di qualche anno, quando Inghilterra e Argentina si erano improvvisamente ritrovate in guerra nel vero senso della parola: l’unica vera guerra tra due grandi potenze occidentali combattuta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sino ai giorni nostri.

Il campo di battaglia sono le Falkland, un arcipelago disperso nell’Oceano Atlantico meridionale a poco più di 500 km di distanza dalle coste argentine.

Dal 1832 le Falkland erano sotto la dominazione britannica e tale circostanza non era mai stata digerita dal popolo argentino a cui nelle scuole veniva insegnato che “Las Malvinas son Argentinas”.

Quando nel 1981 il governo britannico allora guidato da Margaret Thatcher decise di organizzare per l’anno successivo le celebrazioni per i 150 anni di dominio inglese su quei territori, in Argentina iniziò a montare la rabbia contro gli “invasori”.

Rabbia prontamente cavalcata dalla dittatura dei generali che in quegli anni governava in Argentina e che era alla disperata ricerca di diversivi per distogliere l’attenzione dai mille problemi politici, sociali ed economici che affliggevano un Paese sull’orlo del collasso socio-economico.

Quella era la dittatura della guerra sporca contro i comunisti, la dittatura dei desaparecido che fece sparire nel nulla decine di migliaia di dissidenti.

La riconquista delle Falkland, o meglio delle Malvinas se vogliamo osservare la storia dalla prospettiva degli argentini, avrebbe permesso al regime di acquisire popolarità in uno dei momenti più difficili della propria esperienza di governo.

Tanto per intenderci, in Argentina, nel 1981, l’inflazione è al 600%, la povertà è diffusa, i sindacati protestano in strada ogni giorno nonostante la repressione governativa e la contestazione delle Madri di Plaza de Mayo, che chiedono di far luce sulle sparizioni dei propri figli, si fa sempre più insistente.

Alla fine dell’81 la situazione è diventata talmente esplosiva che la giunta militare si fa il golpe da sola.

Il generale Viola, allora capo del governo dittatoriale, viene spodestato dai suoi stessi militari che al suo posto nominano il generale Leopoldo Galtieri, il quale prende il potere e si autoproclama presidente a vita con possibilità di nominare il proprio successore.

In quel calderone, le Malvinas rappresentano un’enorme opportunità per acquisire consenso tra la popolazione e di lì a poco, con la iniziale tacita complicità degli Stati Uniti di Ronald Reagan che pur di contrastare l’ascesa del comunismo in Sud America erano disposti a tutto, ebbe inizio una escalation di tensione che portò gli argentini ad occupare militarmente le isole Falkland.

È il 2 aprile del 1982 e un manipolo di militari argentini, armati alla buona e organizzati peggio, sbarca sulle coste aride e ventose di quell’arcipelago sperduto nell’Atlantico meridionale sicuro del fatto che i britannici non avrebbero reagito. Così, però, non sarà e dopo un mese di trattative, il 2 maggio la flotta britannica bombarda per un giorno intero le coste delle Falkland.

Il 13 giugno 1982 la guerra è già finita.

L’Inghilterra si è riappropriata dell’arcipelago lasciando sul campo di battaglia più di 250 vittime, gli Argentini sono usciti clamorosamente sconfitti dal conflitto e al regime dei dittatori restano pochi giorni di vita.

Stadio Azteca di Città del Messico, 22 giugno 1986

Questo era il contesto in cui quel 22 giugno 1986 venne disputata la gara valevole per i quarti di finale del Campionato del Mondo tra Argentina e Inghilterra allo stadio Azteca di Città del Messico.          

Quella, per Maradona e per gli argentini, non era una semplice partita, ma l’ultimo atto di una guerra che non si era ancora conclusa e, quando si è in guerra, secondo Diego, il fine giustifica i mezzi.

Che stesse per accadere qualcosa di storico lo si percepiva nell’aria e lo si era capito già al momento degli inni nazionali.

Maradona aveva uno sguardo diverso dal solito. Sembrava posseduto. Era come se sapesse già che quella sarà la sua partita e di nessun altro.

Dopo un primo tempo difficile, in cui gli inglesi non fanno altro che picchiare duro nel tentativo di limitare quanto più possibile il 10 dell’albiceleste, all’inizio del secondo tempo accade l’impensabile.

Maradona chiede un uno-due al limite dell’aria a un suo compagno di squadra che sbaglia il tocco, la palla si alza a campanile e sta per cadere esattamente a metà strada tra Diego e il portiere inglese Peter Shilton.

Shilton è alto 182 centimetri e può toccare la palla con le mani.

Maradona, alto 20 cm in meno, non può farlo.

O meglio, non potrebbe farlo.

Quando tutti si aspettano che Shilton faccia agevolmente suo il pallone, ecco che la palla va clamorosamente in rete. Allo stadio, eccezion fatta per il portiere britannico e pochissimi altri, nessuno si capacita di come quella palla sia giunta in porta.

Si pensa a un errore di Shilton, a un anticipo di testa da parte di Diego, ma nessuno tra gli spettatori sa ancora di aver assistito all’epifania della Mano de Dios.

Quel pallone è entrato in rete perché Diego, simulando un colpo di testa, ha colpito la palla con il pugno sinistro, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Maradona negli anni successivi affermerà che era stato Dio a spingerlo a colpire quella palla con la mano per punire gli inglesi che pochi anni prima avevano trucidato i suoi fratelli argentini macchiandosi di hybris, in greco ὕβϱις, ovvero di tracotanza.

Nell’antica Grecia a coloro che si “macchiavano” di ὕβϱιςspettava la punizione divina e in quell’occasione Diego, senza saperlo, sentì di doversi comportare come una divinità greca da cui dipendono le sorti degli uomini.

Non sarà la prima volta che si sentirà in dovere di scrivere la storia mosso da un’idea di giustizia del tutto personale e non sarà neanche l’ultima.

Un goal di mano ai quarti di finale di un Mondiale sarebbe stato già sufficiente per proiettare di diritto nella leggenda questa partita, ma Diego è sempre stato abituato a fare le cose in grande.

Passano pochi minuti, per l’esattezza cinque, e Maradona riceve una palla nella sua metà campo. Scambia con un compagno di squadra e parte nella “corrida memorabile, nella giocata di ogni tempo”, come la descrisse Víctor Hugo Morales .

L’azione del secolo dura 10 secondi. 60 sono i metri percorsi palla al piede. 15 i tocchi di palla. 6 gli avversari superati, compreso il povero portiere inglese Shilton.

Questi sono i numeri della giocata che ha consegnato Diego alla storia e che ha permesso a quell’Argentina di arrivare in semifinale e, poi, di vincere quell’edizione dei campionati del mondo portandosi a quota due nel medagliere della rassegna iridata.

Se oggi Diego, sia a Napoli che in Argentina, è considerato alla stregua di una divinità che trascende da tutto e tutti, lo si deve anche a quella partita.

Quella gara consegnò per sempre Maradona alla leggenda e per chi crede nell’equilibrio cosmico non può considerarsi un caso che, nell’anno della sua prematura dipartita, Italia e Argentina siano riuscite a vincere rispettivamente i Campionati Europei di Calcio e la Coppa America.

È notizia di questi giorni che nel giugno 2022 verrà disputata una partita ufficiale proprio tra gli azzurri e l’Albiceleste e lo scenario dell’incontro, con ogni probabilità, sarà il San Paolo di Napoli, ora Stadio Diego Armando Maradona.

Nel nome del D10S, barrilete cosmico.

Nel nome di un uomo capace di piegare la storia al proprio volere, come riesce solo alle divinità.

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