La rivolta del numero 9

“È un atto politico. È la rivoluzione”, esclama Alfredo (interpretato da Renato Carpentieri) in È stata la mano di Dio, riferendosi al famoso goal di pugno segnato da Diego Maradona in un Inghilterra – Argentina, valido per i quarti di finale del mondiale messicano del 1986. Tutto il mondo vide quell’umiliazione (per dirla ancora con parole tratte dal film di Sorrentino), quel gesto di ribellione contro chi aveva invaso le isole argentine.

Ma non tutti gli atti rivoluzionari individuali del ‘900 furono televisti e, parlando ancora di gesti compiuti da sportivi, ce n’è uno in particolare che spicca per coraggio, quello compiuto da Carlos Humberto Caszely nel 1973, prima della partenza per giocare a Mosca quella che sarebbe poi diventata la partita de los valientes (l’andata dello spareggio per assicurarsi un posto al mondiale del ’74 tra Unione Sovietica e Cile). In Cile era da circa un anno al potere il generale Pinochet, che l’11 settembre del 1972, con un golpe militare, aveva instaurato una dittatura di stampo fascista. Nei giorni successivi al colpo di Stato, Pinochet fece portare tantissimi oppositori politici all’interno dell’Estadio Nacional, dando ordine di torturarli barbaramente: molti morirono, altri, in fin di vita, furono caricati su degli elicotteri e gettati nel Pacifico.

In questo contesto, il capitano della nazionale cilena, Francisco Valdès, presentava al generale uno ad uno i compagni che sarebbero partiti per Mosca (i quali, prontamente, gli stringevano la mano): al momento del Rey del metro cuadrado, Caszely, questi rimase con le braccia conserte, rifiutando di presentarsi al dittatore. La cosa passò sotto silenzio solo perché il centravanti del Colo-Colo era estremamente popolare in Cile. I sudamericani andarono a giocare la partita d’andata, ma i sovietici si rifiutarono “per ragioni di ordine morale” di giocare il ritorno in uno stadio in cui erano stati incarcerati torturati dei prigionieri politici (quasi tutti socialisti o comunisti), perdendo a tavolino: con ciò credevano anche di indebolire la posizione internazionale di Pinochet, ma non fecero altro che rafforzare la sua dialettica del “Noi (cileni) contro il resto del mondo che non ci accetta”. Il generale volle addirittura che la nazionale segnasse un gol simbolico, che ne sugellasse la qualificazione ai mondiali: in novembre, a Santiago, il Cile era effettivamente in campo e sulle tribune c’erano circa 15mila spettatori, ma i sovietici non erano lì. In questo scenario surreale, in un clima a metà tra la dimostrazione di forza e la vergogna, il capitano Valdès segnò questa rete, proprio su assist di un quasi imbarazzato Caszely, che, stavolta, davanti ai fucili dei militari, non potè tirarsi fuori da questa farsa.

Il grande centravanti, però, qualche anno dopo, a carriera finita, riscattò quel mancato gesto di ribellione, schierandosi pubblicamente dalla parte di chi, durante il referendum popolare del 1988, non era d’accordo con la riconferma di Pinochet alla guida del Paese: la sua voce risultò decisiva, in quanto, dopo le sue dichiarazioni, il No risalì fino a superare il Sì, mettendo così fine al sanguinario regime del generale di Valparaìso.

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