La Madonna del Solletico di Masaccio: un capolavoro di tenerezza materna

Agli Uffizi a Firenze è custodita una tavoletta non più grande di un libro, che miracolosamente si salvò dalle razzie naziste di capolavori artistici. La chiamano Madonna Casini, perché sul retro si scorge uno scudo con sei stelle in campo giallo, diviso a metà da una fascia nera dipinta con una croce dorata al centro. È lo stemma gentilizio di Antonio Casini, ordinato cardinale nel 1426 da papa Martino V Colonna. “Post quem” si dice, cioè a partire dal 1426 fu dipinta questa iconografia, per una devozione domestica, del tutto inusuale nel contemporaneo.

E cosa si inventa Masaccio, a 25 anni circa, per aggiudicarsi prospettive di lavoro nel pontificato, assieme al suo anziano socio Masolino? Dipinge questa “Madonna del Solletico”, come più semplicemente tutti la chiamano. Fu Roberto Longhi, a cui tanto dobbiamo in fatto di riscoperte, ad attribuirla a Masaccio. Nel 1950 in una pubblicazione la descrisse come un’istantanea fulminea dell’apparizione della Vergine, sorpresa nell’intimo a “fare il solletico” al suo Bambino. Si può immaginare Maria che gioca con il suo piccino, che nel frattempo è Dio Onnipotente ed eterno? A guardarla bene, con due dita della mano destra sta accarezzando sotto il mento delicato il bambino che naturalmente ride felice, stringendo fra le manine il braccio della madre. E allora potremmo proprio chiamarla la “Madonna delle coccole”. L’umano e il divino che custodiscono il segno di tutta la Cristianità.

La Vergine Maria è rappresentata con tutti i particolari iconografici che le competono: il manto blu-notte bordato d’oro, la tunica rossa con l’aureola traforata d’oro, emblema di santità. Guarda il suo bambino con tenerezza e dedizione, ma nel suo sguardo c’è anche un velo di malinconia. È la consapevolezza o il presagio di quello che sarà un giorno il destino di un figlio così bello. Il piccolo Gesù gioca e così la collana di corallo al collo è scivolata sulla spalla, mentre la vestina di seta trasparente, che ricopre il corpicino, per l’irrequietezza impercettibilmente si muove. Masaccio, appena uno o due anni dopo, dipinge ad affresco la Trinità di Santa Maria Novella. Stiamo parlando di un vero e proprio manifesto del Rinascimento prospettico fiorentino. Sempre a Roma ottiene la commissione più importante: l’esecuzione del polittico a più ordini per l’altare maggiore della basilica di Santa Maria Maggiore.

Fa proprio in tempo a portare a termine la parte a destra con i santi Girolamo e Giovanni Battista (conservato oggi alla National Gallery di Londra) quando nel giugno del 1428 muore, a ventisette anni non ancora compiuti, probabilmente ucciso dalle febbri malariche, endemiche e spesso mortali nella Roma di allora. Una stella che solca troppo rapidamente la storia dell’arte.
L’amico Brunelleschi lo piange considerando la notizia della scomparsa una “gran perdita” per tutto il mondo della cultura e delle arti. Masaccio è anche l’autore del Tributo della Cappella Brancacci al Carmine di Firenze, dove rappresenta il “Colosseo degli uomini” cioè gli apostoli assembrati intorno a Cristo come uomini che hanno un valore ponderale sulla terra e gettano ombre vere. È sempre lui il pittore che, nello stesso luogo, fa “tremare gli ignudi” nel Battesimo dei neofiti e racconta la città moderna nel San Pietro che guarisce con l’ombra. Ebbene, Masaccio, chiamato ad una rappresentazione veritiera ed eroica dell’umano e del divino, ci intenerisce e commuove con una Madonna, immaginata semplicemente come una mamma, che gioca con il suo piccino e ci restituisce un capolavoro di tenerezza materna.

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