Mentre i governi procedono a rilento nella riduzione delle emissioni, la crisi climatica sta colpendo molte comunità con incendi, inondazioni e siccità. L’Italia, in particolare nelle zone in cui si concentra la produzione agricola e zootecnica, sta infatti fronteggiando una carenza idrica senza precedenti. Le immagini di queste settimane dei fiumi in secca, la richiesta di razionamento acqua in 125 comuni italiani, e il possibile stato di emergenza per alcune regioni, è un grave segnale d’allarme. Purtroppo ancora decisamente sottovalutato. Nel centro-sud oltre al decremento del volume annuale di numerosi fiumi, anche le colture continuano a soffrire. Il razionamento dell’acqua colpisce anche produzione ed utilizzo dell’energia elettrica. Quest’anno dare acqua ai frutteti costerà quasi il doppio rispetto all’anno scorso a causa del prezzo dell’energia elettrica utilizzata. E la scarsità di irrigamento naturale sta già producendo un massiccio ricorso all’irrigazione artificiale con conseguente aumento delle bollette degli agricoltori e del prezzo dei beni ortofrutticoli.
Secondo le stime del Global Land Outlook, il 70% delle aree libere da ghiacci è stato alterato dall’uomo, con conseguenze dirette e indirette su circa 3.2 miliardi di persone e si prevede che entro il 2050 questa quota possa raggiungere il 90%. E attualmente circa 500 milioni di persone vivono in aree dove il degrado ha raggiunto il suo massimo livello, ovvero la perdita totale di produttività definita come desertificazione. La siccità sta aumentando, a livello globale, dal 2000 e colpisce circa 55 milioni di persone ogni anno. Entro il 2050, le zone aride potrebbero coprire tra il 50 e il 60% di tutta la terra, con circa tre quarti della popolazione mondiale che vive in queste aree in condizioni di grave scarsità d’acqua.
Anche l’Italia presenta evidenti segni di degrado, che si manifesta con caratteristiche diverse in circa il 28% del territorio, principalmente nelle regioni meridionali, dove le condizioni meteoclimatiche contribuiscono fortemente all’aumento del degrado e quindi alla vulnerabilità alla desertificazione a causa della perdita di qualità degli habitat, l’erosione del suolo, la frammentazione del territorio, la densità delle coperture artificiali. I cambiamenti climatici stanno accelerando anche il rischio desertificazione in intere regioni come Sicilia, Abruzzo e Molise. I bacini idrici dell’isola hanno visto 78 milioni di metri cubi d’acqua in meno rispetto al 2020, secondo rilevamenti del Dipartimento regionale Autorità di bacino del distretto idrografico della Sicilia, segnando il livello più basso del decennio.
Preoccupanti anche i dati sulle persone che vivono in aree considerate sotto stress idrico. Secondo gli ultimi studi della Commissione Ue, il numero di persone che vivono in aree considerate sotto stress idrico. La maggior parte delle persone esposte a stress idrico vive nei paesi dell’Europa meridionale.
Le azioni contro la siccità sono possibili e praticabili ma in Italia, a tutti i livelli, dai cittadini alle imprese, fino alle azioni amministrative, siamo impunemente indietro. Soprattutto nel promuovere e attuare programmi di rigenerazione dei suoli, incentivare la coltivazione di colture resistenti alla siccità, irrigare in modo efficiente, favorire il riciclo e riutilizzo dell’acqua. E, come cittadini, nella possibilità di cambiare le nostre abitudini, di condividere le nostre azioni virtuose. Come da copione, poi, assistiamo all’incapacità della politica di attuare interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato che, come suggerisce Legambiente, permetterebbe da un lato di ridurre le perdite di rete, e di conseguenza ridurre i prelievi, e dall’altro di poter riutilizzare le acque reflue depurate in agricoltura e nei cicli produttivi grazie anche alla separazione delle reti fognarie e all’investimento sullo sviluppo di sistemi depurativi innovativi e con tecniche alternative.
Lo spreco dell’acqua, in particolare nelle regioni meridionali, è sempre troppo elevato: al Sud le perdite sfiorano il 50%, con picchi del 60% in alcuni capoluoghi siciliani e campani. Nel 2020, ad esempio, sono andati persi 41 metri cubi al giorno per km di rete nei capoluoghi di provincia/città metropolitana, il 36,2% dell’acqua immessa in rete (37,3% nel 2018). In 11 Comuni capoluogo di provincia/città metropolitana, tutti nel Mezzogiorno, sono state adottate misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua. Colpa dello stato in cui versano le reti idriche. Basti pensare che circa il 70% delle tubature di tutta le rete di Salerno e provincia ha un’età media tra 30 e 50 anni. E gli incidenti alla rete idrica proseguono, causando spesso interruzioni idriche prolungate su aree territoriali molto estese.
Con l’emergenza idrica dovremo convivere. Per questo prima di tutto serve rivedere gli usi e i consumi, puntando ad una diminuzione di prelievi ed un efficientamento degli usi. Senza dimenticare che una siccità prolungata comporta danni diretti derivanti dalla perdita di disponibilità di acqua per usi civili, agricoli e industriali ma anche perdita di biodiversità.