La Cucina di AmeLì: in Cilento un home restaurant tra convivialità e tradizione

A Vibonati, nel Golfo di Policastro, prende forma il primo Home Restaurant rurale del Cilento meridionale: la Cucina di AmeLì. Il progetto nasce circa dieci anni fa come ospitalità rurale (Agri-B&b Casale Il sughero) e auto-produzione, lavorando molto sulle sementi autoctone, sul presidio dei territori e sulla biodiversità, sia vegetale che animale, al fine di incentivare un turismo attivo, curioso, critico, un approccio di cui l’home restaurant rappresenta l’ultima frontiera.

“Vogliamo lavorare per lo sviluppo di una cucina di apprendimento, una cucina innanzitutto stagionale, locale – spiega Amedeo – Quello che non riusciamo a produrre lo prendiamo da chi lavora come noi, realizzando una cucina ad personam. Tutti i ristoranti, anche i migliori, lavorano con prodotti abbattuti, semi pronti, noi invece raccogliamo quello che abbiamo nell’orto, garantendo quindi un prodotto super freschissimo, super locale ma, per ovvi motivi, limitato nella scelta e quantità”.

La filosofia portata avanti da Amedeo e Lisa (AmeLì) è già evidente dal logo della loro attività, una carriola che versa direttamente in pentola i prodotti della terra: trasformare in loco i prodotti coltivati nel proprio orto e condividerli a tavola con gli ospiti in un’ottica agro ecologica e di rispetto della biodiversità del luogo. Dunque una realizzazione pratica delle idee contenute nel vecchio progetto della Città del Parco, quella delle Case del buon vivere, improntata ad un’esperienza di enogastronomia equilibrata e identitaria oltre che ai principi della Dieta Mediterranea, condividendo e valorizzando il territorio e se stessi a tavola. Il progetto di Amedeo e Lisa è seguito infatti da importanti studiosi che portano avanti questa filosofia quali il professor Pasquale Persico, il botanico e naturalista Nicola Di Novella, esperto di orchidee selvatiche, ed alcuni collaboratori interessati, tra cui Bruno De Concillis, produttore di vini, Eugenio Cioffi, produttore di fichi, ed Enzo Crivella, importante gelatiere e pasticciere di Sapri.

I terreni sono coltivati con il sistema del sinergico puro, rialzato, e semi puro, tramite la consociazione di diverse varietà con beneficio reciproco. “Ad esempio le piante di piselli e aglio sono vicine – racconta Amedeo – il bulbo dell’aglio ha proprietà antibatteriche che toccando le radici della pianta di pisello le permette di crescere bene mentre quest’ultima, in quanto leguminosa, fissa l’azoto nel terreno. In questo modo le piante traggono beneficio a vicenda”. 

Pane e pasta fresca con farina appena molita di grani antichi locali, come per esempio saragolla e carosella, uova fresche, formaggi e carni da animali al pascolo montano, pescato del giorno, olio extravergine di qualità e aromatiche di montagna: questi sono solo alcuni prodotti del “paesaggio degli ingredienti“, di cui parla il professor Persico e che Amedeo e Lisa mettono in pratica raccontando il territorio tramite il linguaggio identitario del cibo, considerato non tanto come bene di consumo, ma di relazione.

Sta crescendo a livello nazionale l’interesse verso il fattore della piccola ristorazione domestica, dove il cuoco si siede a tavola per condividere il cibo, favorendo un rapporto diretto tra produttore e consumatore nell’ottica di rendere quest’ultimo sempre più consapevole. 

Amedeo lavora a filiera corta, in auto-produzione, seguendo i principi dell’agro ecologia e dell’economia circolare, a chilometro zero, sperimentando l’incontro di diverse gastronomie identitarie, dalla cilentana alla napoletana fino alla tirolese, grazie a Lisa, di nazionalità austriaca, che dà un valore aggiunto alla tradizione cilentana, integrandola, dedicandosi soprattutto ai dolci, strudel e sacher in particolare.

Un piccolo forno a legna ecologico permette inoltre di sfornare pane e pizze, sempre con prodotti propri. Un menù completo ha un costo di circa 25 euro, ma la tavola può ospitare un numero ristretto di persone, così come prevede la regola principe dell’home restaurant. 

“Questo casolare era un bottaio nella prima metà del Novecento, perché ci tenevano l’uva e ci facevano il vino– spiega ancora Amedeo- Precedentemente invece, nell’Ottocento, era un caprile; era questa infatti una strada di transumanza tra le vallate del golfo e le montagne. La struttura ha avuto sempre uso agro pastorale, poi è stata abbandonata per 30, 40 anni, nel 2005 l’ho preso io che sono originario di Napoli, ma mi sono gradualmente staccato dalla città. Questo posto già lo conoscevo dal 1983, quando me ne sono innamorato. Oggi girano attorno a noi volontari, gruppi, associazioni, collaborazioni nel campo enogastronomico ed ambito artistico-filosofico, attività laboratoriali ed ospitalità rurale”. 

Il casolare è dotato di uno spazio esterno, utilizzato quando il tempo e la stagione lo permette, ed una sala interna, invernale. Vi sono poi due camere gemelle per ospitare un massimo di otto persone ed un cucinino con bagno esterno per chi vuole mettere la tenda, principalmente per chi percorre in bici la Via Silente o fa trekking lungo il cammino di San Nilo, inaugurato da poco. La struttura è stata ristrutturata con criteri di bioedilizia. 

Vi è inoltre un sistema di fitodepurazione, primo impianto nella zona. Tutti gli scarichi della casa invece che in una vasca poi svuotata con espurgo o collegata a fogne o a un depuratore, che qui non c’è, va a finire in una vasta a secco con un enorme filtro in pietra; scavata e riempita con sassi grandi, medi, piccoli fino alla sabbia, viene poi impermeabilizzata con un telo lungo il perimetro che scende fino in profondità. La vasca è a secco perchè l’acqua avrebbe portato zanzare e puzza. Come filtro, sopra la vasta sono state piantumate cannucce di phragmites australis, la quale mangia, digerisce tutti gli scarichi e rilascia poi acqua pulita usata per irrigare. Un sistema dunque a scarti zero, che segue il principio della circolarità e riciclo assoluto; tutti gli scarti sono infatti trasformati in cellulosa perché le piante crescono, le cannucce sono usate nei campi, come sostegno per pomodori e fagioli, inoltre si produce ossigeno, perché le piante fanno la fotosintesi e viene rilasciata acqua, raccolta insieme a quelle piovane ed usate per gli animali e l’orto. Si lavora con il solare e la legna per il termo camino ed è in previsione anche la produzione elettrica.

Tutto segue un criterio ecologico micro-comunitario, senza scarti, per un approccio totalmente naturale; niente mangime, ma selezione naturale. Stesso per il frutteto e una permapicoltura in fase sperimentale che richiede, come tutto il resto, processi lunghi rispetto ai cicli tradizionali. 

Amedeo prima lavorava in banca con contratto part-time e come ricercatore universitario di semiotica del linguaggio e architettura del paesaggio, frequentando l’Università l’Orientale di Napoli, la Federico II, e L’Università di Granada in Spagna. “Alla fine ho mollato tutto, ricominciando daccapo venendo qui; che poi non è stato un ricominciare daccapo, ma un mettere in pratica gli studi e gli interessi che ho coltivato, traslandoli nel concreto e sperimentando le teorie studiate per anni”. 

La famosa Dieta Mediterranea – tipica dell’area Cilento e Vallo di Diano e Alburni – prevede un importante consumo di cereali integrali, verdure, pane, legumi, frutta, uova, latticini, erbe selvatiche, olio d’oliva e, più moderatamente, pesce e vino, carne bianca e rossa.

Ma questi prodotti studiati ed analizzati da Keys per la stesura della dieta sono gli stessi che abbiamo oggi? E gli strumenti e i metodi di coltivazione? La dieta mediterranea prevede il consumo quotidiano di biodiversità vegetali, comprendendo determinati prodotti, paesaggi e sistemi di coltivazione. Uno stile di vita del bacino mediterraneo, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio culturale immateriale dell’umanità e analizzato dalle ricerche del fisiologo statunitense, il quale, impressionato dallo stile di vita italiano, decise di trasferirsi con la moglie per 40 anni a Pollica, nel Cilento.

Oltre agli alimenti, ad essere determinanti sono le tradizioni, le pratiche agricole, e sociali, tradotte in coltura. Un piatto consumato in una data stagione o occasione si carica sempre di un significato simbolico. Stagionalità dei prodotti e freschezza, dunque, in piccole porzioni; si mangiava quello che la terra produceva e si praticava una regolare attività fisica con il lavoro nei campi o in casa. Il territorio del Parco rappresenta un laboratorio vivo. Esempio ne è il progetto del Parco Genetico del Cilento e Vallo di Diano, per cui 12 paesi del Parco, presentando alcune caratteristiche interessanti sugli isolati genetici, sono osservatori ideali e luoghi di sperimentazione. Uno dei progetti attivati è infatti “La cucina delle donne del parco genetico del Cilento: benessere della popolazione ed alimentazione equilibrata”, che mira a raccogliere ricette antiche e studiarne i livelli nutrizionali per poter affermare ”Non fate la dieta, ma venite a mangiare nel Cilento”. Come si faceva una volta, però.  

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