Informa(L)mente: il giornalismo internazionale. Incontro con Barbara Serra

Barbara Serra

Nel corso del quarto appuntamento con la Masterclass in Giornalismo, fortemente voluta dal Dipartimento di Scienze Politiche e della Comunicazione dell’Università degli Studi di Salerno, abbiamo avuto l’onore di avere con noi Barbara Serra, impegnata da ben quindici anni come corrispondente e conduttrice dell’emittente televisiva araba Al Jazeera English, con sede a Londra.

L’incontro con la Dottoressa Serra si è svolto come fosse un’intervista a più voci, dove ad avere maggiore spazio sono state le numerose questioni mosse dagli studenti stessi. Gli scenari discussi sono stati tra i più disparati ma, più di tutte è stata messa in campo la differenza tra il giornalismo italiano e quello britannico.

Dopo aver ascoltato la testimonianza della giornalista circa le esperienze lavorative per lei più significative, l’attenzione degli studenti è stata per lo più rivolta a comprendere i complessi meccanismi che sono alla base del giornalismo (televisivo) britannico, ben diverso da quello italiano. Il nostro Paese è ormai invaso da Talk Show e programmi televisivi in cui l’intrattenimento regna sull’informazione e dove, soprattutto nell’ultimo anno, l’infodemia e l’infotainment hanno soppiantato quella che potremmo definire “informazione tradizionale”. La prima, spesso confusa con la seconda, non è altro che l’eccesso di trasmissione di notizie, un fenomeno che ha preso piede negli ultimi anni, ma che ha raggiunto l’apice nell’ultimo anno, incrementato dalle continue notizie sul Covid-19 e, da oggi, sulla questione dei vaccini.

L’infotainment ha invece una radice per lo più trentennale, ma ha avuto, a differenza dell’infodemia, una più lenta evoluzione. L’intrattenimento che diventa informazione – e viceversa – è ormai alla base di quasi tutti i Talk che riempiono il palinsesto televisivo della Tv generalista, nonché del servizio pubblico. Così ritroviamo giornalisti che si confondono con la figura dei conduttori dei programmi pomeridiani, all’interno dei quali il più delle volte non ci si limita a diffondere la notizia e a spiegarne il contesto, bensì si creano veri e propri racconti che non sempre corrispondono al vero, ma vengono spacciati come tali. In un’operazione di continuo taglia e cuci, l’informazione si allontana sempre di più dai Tg per invadere gli spazi pomeridiani, serali, i programmi del week-end, con una conseguente perdita non solo del valore della notizia, ma anche della figura del giornalista.

Il giornalismo italiano è indietro rispetto a quello Britannico, ma cosa manca al giornalismo italiano? Mancano di certo le “voci diverse. Il giornalismo deve rappresentare il popolo a cui sta cercando di parlare. Questo è alla base del perché intere generazioni hanno smesso di seguire le testate; si è persa la differenza nei punti di vista. La forza di Al Jazeera sta proprio nell’aver creato una fitta rete di punti di vista diversi, una vera e propria conversazione multietnica, che aiuta a vedere le cose da vari punti di vista.

La figura del giornalista si ritrova a dover affrontare sfide sempre più complesse e a far fronte alla sempre più “dispersione” dell’informazione. Fondamentale è dunque tenere presente il concetto di informazione, così diverso in Gran Bretagna sul quale canali come BBC o lo stesso Al Jazeera fondano le proprie strategie di divulgazione della notizia. Dall’analisi di tali strategie, la Dottoressa Serra ha tenuto a precisare quanto, per un buon giornalista (di stampo nazionale o internazionale), sia importante conoscere bene la Nazione e il pubblico al quale sta trasmettendo la notizia, senza dimenticare mai di raccontare il contesto in cui tali fatti accadono o sono accaduti. La Dottoressa Serra, nel concludere il suo lungo discorso sulle differenze tra il Giornalismo Britannico e quello italiano (nonché sulle possibili sorti di quest’ultimo) si è soffermata su un prezioso monito, ovvero quello di ricordare sempre di quanto sia fondamentale l’utilizzo delle parole nella professione del giornalista.

Stando alle parole della giornalista e conduttrice di Al Jazeera, una buona forma di giornalismo deve sempre tenere presente “chi ha davanti”, il suo interlocutore, qui inteso come un’intera popolazione, o un’intera nazione. È di fondamentale importanza, infatti, tenere presente come trasmettere una notizia, senza dimenticare l’importanza che hanno le fonti utilizzate e il linguaggio che si usa per raccontare il fatto.

È il caso, ad esempio, del racconto della guerra, delle sue crudeltà e del contesto in cui le guerre nascono e si evolvono, contesti geopolitici fragili e delicati. In qualità di corrispondente e conduttrice di un canale televisivo con sede principale in Medioriente, abbiamo chiesto alla nostra ospite cosa significhi fare giornalismo in zone considerate “difficili” o “pericolose”.

Fare giornalismo in zone di guerra significa cercare di spiegarne il contesto. Noi mostriamo anche immagini forti, rispetto ad altri canali. Però cerchiamo di mostrare l’atto orrendo della guerra, è importante spiegare sempre il contesto, spiegare cosa accade e perché accade. Perché scoppiano le guerre.

Quando capire è impossibile, Sapere è necessario.

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