“Il Villaggio di Esteban”: il mondo da cui nessuno è escluso

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Si scrive “Il villaggio di Esteban”, ma si legge “Qui, dove nessuno è escluso”. Il Villaggio di Esteban non è solo un luogo (anzi, un “insieme” di luoghi). È una dimensione in cui tutti possono fare tutto, essere chi vogliono, sentirsi parte di una famiglia.
Sì, perché da oltre 20 anni– l’inaugurazione risale al 1997 – il villaggio persegue lo scopo di prevenire e contrastare l’esclusione sociale, per favorire l’inserimento nei contesti vitali delle persone che vivono una situazione di disagio e per promuoverle e realizzarne lo sviluppo. E lo fa in diverse forme e modi.

Le macroaree sono tre. C’è l’area disabilità, che vede l’esistenza di un centro diurno polifunzionale, il “Tangram”, di un gruppo appartamento residenziale, “Il dito e la luna”, che, come affermato dal presidente Carlo Novello, è stata “la prima realtà residenziale sulla falsa riga di quello che oggi viene chiamato “Dopo di noi”. 20 anni fa anche se non c’era la legge l’abbiamo anticipata, perché i primi accolti erano ragazzi con disabilità che avevano difficoltà a restare all’interno delle loro famiglie”. C’è l’area minori a rischio, che consta di una casa famiglia con coppia residente, marito e moglie con figli, aperti all’accoglienza di minori, un centro diurno polifunzionale, “Il bosco di bistorco”, in cui i bambini possono pranzare, fare i compiti, svolgere attività varie e poi vengono riaccompagnati a casa (si tratta di un vero e proprio “aiuto alla genitorialità”), di una comunità alloggio, “Porta di mare”, in cui vivono ragazzi adolescenti, fino ai 18 anni, oppure oltre nel caso in cui il tribunale lo ritenga opportuno. C’è l’area salute mentale, che comprende 2 case alloggio residenziali: una femminile, “Si può fare”, nel centro storico, l’altra maschile a Pastena, “Escargot”. Inoltre c’è un gruppo appartamento a Torrione che differisce dalle altre comunità perché, sebbene le persone ospitate ci abitino, non è prevista la presenza dell’operatore sempre, ma solo in una determinata fascia oraria, è “un’evoluzione della casa alloggio, permette alle persone che hanno un grado di autonomia più elevato di autogestirsi. L’operatore è utile solo in un pezzo della giornata per accompagnarli nella quotidianità”.


E non solo. Sono tante e diverse tra loro le attività organizzate dal villaggio. Tra le più interessanti il giornale “Paperboy”, nato quasi 6 anni fa, nel dicembre del 2013, come laboratorio giornalistico per ragazzi con disabilità, rigorosamente cartaceo, per “dare qualcosa di tangibile agli stessi ragazzi”. “Abbiamo da subito registrato la testata al tribunale, per fare in modo che i ragazzi che scrivevano per il giornale potessero iscriversi all’ordine dei giornalisti. Ad oggi 4 di loro sono iscritti all’ordine dei pubblicisti della Campania. Altri 2 sono in attesa del tesserino. L’esperienza è nata in piccolo. Oggi sono 15, di cui solo 3 parte della comunità, tutti gli altri come esterni”, dichiara lo stesso Novello. Altrettanto stimolanti sono la “Radio Salerno Village”, nata come costola di Paperboy a fine 2018, poi agganciata da un progetto finanziato dalla regione ti attività laboratoriali per giovani dai 16 ai 35 anni e la scuola di calcio nata tra il 2013 e il 2014 insieme a Gianluca Raffone, tecnico federale e psicologo dello sport, per ragazzi con disabilità psichica. Da circa un anno a questa parte la scuola è divenuta parte del torneo “Quarta Categoria”, nato in Lombardia, poi allargato a molte regioni. Il che potrà dare visibilità e lustro ai ragazzi se si pensa che proprio meno di due settimane fa Il presidente della FGC ha annunciato che il torneo verrà incluso in quelli della Federazione. Lo scorso anno i ragazzi hanno esordito in Basilicata, in un torneo partito in via sperimentale. E ad oggi non hanno alcuna intenzione di fermarsi ed hanno già in mente un nuovo obiettivo: quello del Lazio, il secondo nato, dopo quello lombardo.

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Ma il giornale, la radio, la scuola di calcio sono solo le ultime delle iniziative proposte. Ben 11 anni fa prendeva vita una manifestazione chiamata “Arte che passione”, nata perché i ragazzi, soprattutto del Tangram, potessero mostrare i loro quadri, le loro attività manuali, trasferita a Villa Carrara, una struttura aperta al pubblico, per renderle visionabili da tutti. Ma non finisce qui. Perché a latere della manifestazione i ragazzi preparano per tutto l’anno uno spettacolo messo poi in scena al Centro Sociale. E ancora, ci sono stati spettacoli nati dall’amicizia con altre compagnie teatrali del posto, che mettono a disposizione la loro arte. E a questo proposito Carlo Novello ha anticipato: “Il 7 febbraio 2020 ospiteremo il teatro di Emergency. Organizzeremo un momento pubblico in cui parleremo delle dinamiche della guerra, dell’accoglienza”.

Il Villaggio di Esteban è questo, ma anche molto di più. Si può raccontare una storia, una realtà come questa. Ma descrivere cosa provino le persone a sentirsi parte di una comunità dopo essersi sentiti sempre – o quasi – esclusi, è impossibile. Possono raccontarlo solo i loro occhi, i loro sorrisi. Non dimentichiamo mai che siamo tutti diversi, ma tutti uguali. E quando capiremo tutti che le diversità altrui possono arricchirci – e non dividerci – il mondo, forse, sarà un posto migliore in cui abitare.

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