Il Sud dimenticato. Tra astensione, impotenza e difesa della dignità

Le misure di sostegno economico erogate nel corso dell’ultima legislatura, in particolare reddito di cittadinanza e di emergenza, hanno permesso a 1 milione di individui di non trovarsi in condizione di povertà assoluta. E l’effetto delle misure ha investito principalmente le aree a maggior numero di percettori, quasi tutte racchiuse nel Sud Italia, intervenendo in un mercato del lavoro già segnato da una crescita dell’occupazione senza qualità: la ripresa dell’occupazione del 2021 nel Mezzogiorno si è concentrata sulla crescita del lavoro precario che ha spiazzato le forme di impiego più stabile.

Ancora una volta dopo lo spartiacque elettorale del 2018, dalle urne emerge un Paese spaccato in due. La geografia del voto ci consegna infatti un meridione tinto di giallo, attraversato politicamente da una nuova adesione, anche se lontana dai numeri registrati nel 2018, al Movimento 5 Stelle, forza politica in grado di intercettare i bisogni reali di quelle aree del Paese escluse dall’agenda politica e attanagliate da un sentimento di solitudine. L’introduzione del reddito di cittadinanza non è stato soltanto una risposta al disagio sociale e all’impotenza ma una misura salvifica per centinaia di migliaia di persone. In territori dove la fame di lavoro si traduce in esodo inarrestabile verso il Nord o l’estero. In regioni, come la Campania, dove tre cittadini su dieci sotto i settanta anni vivono in famiglie a bassa intensità di occupazione. Dati impietosi che nessun umore e nessun interesse di partito possono distorcere. Contrariamente alle passate crisi, il Mezzogiorno ha d’altronde partecipato alla ripartenza post-covid anche grazie all’espansività delle politiche a sostegno dei redditi delle famiglie. Tant’è che proprio in questi giorni, all’indomani della vittoria della destra sovranista che ha promesso di ridurre la misura di sostegno, dall’Europa invece arriva l’indicazione opposta: Bruxelles chiede di modernizzare i regimi di reddito minimo, cruciali durante la pandemia e nell’attuale contesto di aumento dei prezzi dell’energia e dell’inflazione per contrastare la povertà e promuovere l’occupazione.

Il voto al M5S ha colmato solo parzialmente l’assenza di una mobilitazione di massa del Sud, frutto della rassegnazione ormai prevalente. Nella campagna elettorale più surreale di sempre, il Mezzogiorno è scomparso completamente dalla narrazione politica e sociale. Ma il suo, ad onor del vero, all’interno del dibattito era ridotto a tema residuale. Eppure in quest’ultimo decennio si stima che due giovani su tre sia emigrato dal Sud per ragioni di lavoro e di studio, anche dalle regioni meridionali che hanno avuto un importante sviluppo in alcuni settori come quello turistico.

Per quel che concerne la lotta alle mafie (Conte ha portato in parlamento due magistrati del calibro di Scarpinato e di Cafiero De Raho), l’altra forza che si è occupata del tema e del Sud è stata Unione Popolare, che annoverava nel suo programma anche un piano di sviluppo per le Aree Interne, la salvaguardia di beni e servizi locali, la messa in campo politiche di autonomie territoriali e di prossimità nel rifiuto dell’autonomia differenziata. La formazione di De Magistris, l’unica a nascere dal basso e ad avere legami saldi con alcuni territori, è stata però cannibalizzata da Conte e soci. Il M5S è così riuscito ad intercettare il grido di un Sud sul punto di sprofondare, offrendo una soluzione concreta attraverso una misura difesa strenuamente nel corso dell’intera legislatura, osteggiata da un folto raggruppamento di detrattori. Soprattutto da coloro che hanno fomentato la guerra tra poveri, aizzando i penultimi contro gli ultimi. I consensi per il M5S hanno raggiunto percentuali bulgare nelle periferie delle grandi città del Mezzogiorno e nelle aree storicamente caratterizzate da profondo disagio sociale. Un cappotto nel napoletano con undici collegi uninominali conquistati su undici a disposizione. Ma all’affermazione dei pentastellati non ha soltanto contribuito la misura bandiera del RdC se consideriamo che Giuseppe Conte, da Presidente del Consiglio, ha strappato all’Ue la pioggia di fondi del PNRR, con il 40% dei fondi destinati al Sud. Se consideriamo, soprattutto, un programma politico all’avanguardia che mira a un processo di redistribuzione e a nuovo sistema di tutele sul lavoro. Un programma di sinistra. Il M5S è un partito di sinistra senza dirlo, sostiene il sociologo De Masi. Al contrario del Pd, che dice di essere di sinistra senza esserlo.

Per la seconda volta consecutiva alle elezioni politiche soccombe il voto clientelare, figlio di un sistema legato a figure che concepiscono l’esercizio del potere come degenerazione familistica ed affaristica. Un metodo bipartisan che in Campania, per esempio, ha prodotto una sonora sconfitta per il Partito Democratico, affidatosi ai fedelissimi del Governatore nel tentativo di affermare un’influenza su territori trattati da feudi, attraverso logiche clientelari consunte. Territori che nel segreto dell’urna hanno voltato le spalle a questi interpreti. Il Pd è a stento il primo partito a Salerno città, fortino inespugnabile da oltre 30 anni, e crolla nelle province.

Metà della popolazione del Mezzogiorno non crede più nella politica e si astiene, distaccandosi dalla possibilità stessa di provare a cambiare lo stato delle cose. Si tratta di una sfiducia storica, ormai radicata. Il prodotto di un’esclusione è da ricercarsi nel segno profondo di un’assenza antica e persistente, quella dello Stato. Eppure il Sud riesce a premiare chi, come il rieletto Senatore cilentano Francesco Castiello, ha tentato attraverso il Manifesto per il Mezzogiorno, di riportare la ‘Questione Meridionale’ tra le priorità del dibattito e dei programmi. L’attenzione ai bisogni, ai ceti impoveriti, alle comunità svuotate e al futuro dei territori ha lasciato una traccia nella memoria dei cittadini.

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