Nel mese di ottobre, l’aumento dell’occupazione (+0,2%, pari a +35mila unità), ha riguardato solamente gli uomini. La variazione mensile dell’occupazione femminile rilevata dall’Istat è zero, il tasso corrispondente non arriva neanche al 50%, inferiore di quasi 20 punti a quello maschile. Significa che le donne hanno pagato il prezzo più alto della pandemia, considerando anche che nei mesi in cui l’occupazione femminile è cresciuta di più si è trattato di lavoro part-time o precario.
Le disparità di genere costituiscono uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile, alla crescita economica e alla lotta contro la povertà. Il Covid-19 ha avuto importanti conseguenze sull’organizzazione della vita familiare e sul lavoro non retribuito. Le donne hanno subito perdite di lavoro e di reddito relativamente più ampie, a causa del peso maggiore delle occupate nei settori più colpiti dalle misure di contenimento, dove spesso lavorano con accordi informali. L’accentuarsi dei divari di genere ha reso più difficile per le donne mantenere il proprio posto di lavoro, rispetto agli uomini. Già nell’arco del decennio che va dal 2008 al 2019 si era avuto un forte aumento del lavoro part time (+673 mila unità, pari al +26,1%) a fronte di una flessione del lavoro a tempo pieno (+70 mila unità, pari al –1,1%). Incremento peraltro ascrivibile interamente al part time involontario e quindi non legato alla ricerca di una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ma alla carenza di opportunità di lavoro a tempo pieno.
I dati riportati nel Rapporto SVIMEZ rivelano che nel biennio tra il secondo trimestre 2019 ed il secondo trimestre 2021, l’occupazione femminile si è ridotta in Italia di 370 mila unità pari al -3,7% a fronte di un calo di 308 mila unità per gli uomini (-2,3%). Il calo dell’occupazione femminile è stato più accentuato nel Mezzogiorno. Rispetto al secondo trimestre 2019, l’occupazione femminile nel Mezzogiorno si è ridotta di 117 mila unità pari al -5% a fronte del -3,3% del Centro-Nord (253 mila unità). L’emergenza sanitaria ha cancellato in un anno oltre il 40% dell’occupazione femminile creata tra il 2008 e il 2019 riportando il tasso d’occupazione delle donne a poco meno di due punti sopra i livelli del 2008.
A subire le perdite maggiori sono stati i segmenti più deboli. Nel Mezzogiorno, dove il segmento debole del mercato del lavoro ha un peso maggiore, l’emergenza sanitaria ha inciso maggiormente. Oltre ai settori maggiormente colpiti dalla crisi, a prevalente occupazione femminile, c’è anche un altro aspetto, e riguarda la forma contrattuale. Mentre il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione hanno salvaguardato, durante la fase più critica dell’emergenza sanitaria, il lavoro regolare a tempo indeterminato, sono stati tagliati i posti di lavoro di tutte le altre tipologie: quelli a termine che non sono stati rinnovati, i collaboratori e le molteplici forme del lavoro non-standard, fino al lavoro nero.