Il gran rifiuto del 13 dicembre

Ormai quello corrente è diventato l’anno di Dante. Al Sommo Poeta sono indissolubilmente legati i suoi personaggi (quelli della Comedìa), reali nella descrizione o romanzati che siano. Nel canto V dell’Inferno, tra coloro “che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo” (i cosiddetti ignavi), il nostro viator scorge per un momento “l’ombra di colui /che fece per viltade il gran rifiuto”: di quest’uomo Dante non fa il nome, ma già i primi commentatori (come il figlio del poeta, Jacopo Alighieri, o come Jacopo della Lana) lo identificarono con tal Pietro da Morrone. Religioso, Santo, eremita, ma soprattutto Papa abdicatario, era un uomo semplice, per nulla amante degli intrighi di una corte potente e corrotta come quella papale, che si ritrovò inaspettatamente ed in tarda età (aveva più di 80 anni, una rarità per l’epoca) ad ascendere al soglio di Pietro: era il 5 luglio del 1294, quando un conclave riunito a Perugia lo elesse Pontefice col nome di Celestino V, colmando il vuoto lasciato 2 anni prima dalla morte di Papa Niccolò IV. Dante (ammettendo che si sia effettivamente riferito a lui) è stato, forse, un po’ troppo duro col povero eremita, troppo vecchio e debole per resistere alla pressione dell’eredità del Santo ed a quella esercitata dal potente re di Napoli Carlo II d’Angiò. E fu infatti proprio nella città partenopea che si stabilì il nuovo Papa.

Ad ogni modo, l’incoronazione di Pietro avvenne a L’Aquila (e non in una Roma in preda ai disordini), il 28 luglio, quando il neoeletto entrò in città sul dorso di un asino, sull’esempio dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme. La “location” fu scelta, a quanto pare, dall’Angiò e, da allora in poi, il pontificato di Celestino V fu caratterizzato da una continua (e prevedibile) influenza del re di Napoli da una parte, e dagli intrighi del cardinale Benedetto Caetani (il futuro Bonifacio VIII) dall’altra. Quest’ultimo, dopo averlo indotto all’abdicazione, lo fece sorvegliare ed infine lo confinò nel castello di Fumone (nell’attuale provincia di Frosinone), ove visse gli ultimi mesi della sua vita, terminata il 19 maggio del 1296.

Al contrario di ciò che molti pensano, non fu il primo Papa abdicatario, ma solo il più famoso, perché presente (almeno secondo i commentatori) all’interno della Divina Commedia: prima di lui possiamo ricordarne altri, come Ponziano (235), Silverio (537), Benedetto IX (1045), Gregorio VI (1046); tutti, in un modo o nell’altro, costretti da terzi a lasciare vacante il trono pontificio. Il caso di Celestino V, però, è un po’ diverso, dato che abdicò di propria volontà (seppur incoraggiato dal Caetani); il suo “rifiuto” è più simile, invece, a quello di Benedetto XVI (al secolo Joseph Ratzinger), che per mancanza di forze e per l’età avanzata (almeno questa fu la versione ufficiale) si dimise nel 2013. Inoltre, in entrambi i casi si è sospettato (e si sospetta tutt’oggi) che ci sia qualcosa di più grande dietro alla decisione di rinunciare ad un potere tanto grande.

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