Per la seconda volta in pochi giorni il calciatore della Juventus e della Nazionale spagnola, Alvaro Morata, ha ricevuto minacce indirizzate a lui personalmente e alla sua famiglia sui profili social.
Nel primo caso dopo il match della squadra spagnola contro la Polonia e poi dopo la partita con l’Italia.
Il motivo? Non aver fatto gol nel primo caso, non aver segnato un rigore (nonostante abbia fatto gol durante la partita) nel secondo. Insomma o metti sempre il pallone in porta, oppure ti tocca essere minacciato. “Tu sei bello e ti tirano le pietre. Tu sei brutto e ti tirano le pietre. Che tante pietre in faccia prenderai”, così cantavano qualche anno fa ed evidentemente le canzoni non si discostano molto dalla realtà.
Avete mai provato a sbirciare tra i commenti nei post sui social? Fatelo! Vi renderete conto di una varia umanità e di quanto sia semplice nel web lasciare spazio al turpiloquio, all’offesa, all’insulto, alla denigrazione, ecc.
Ci sarebbe da fare una vera indagine sociologica. Forse qualcuno lo farà prima o poi, in quanto il fenomeno è storicamente ancora troppo giovane, ma nonostante ciò terribilmente impattante sulla vita delle persone.
In particolare modo dei più giovani e dei più deboli, di chi ha già il suo bel peso da portarsi addosso e di chi ha le ossa già rotte dalle vicissitudini della vita. Non è un caso che i fenomeni maggiormente dilaganti e degradanti della nostra epoca, siano il cyber bullismo e il revenge porn. Due fenomeni che toccano i giovani e le donne, categorie colpite singolarmente o entrambe, prese a bersaglio da parte di chi, inetto e meschino, utilizza un mezzo di diffusione di massa per dare sfogo alla propria inadeguatezza e alla propria povertà di spirito e d’animo.
E non c’entra ciò che sei o fai nella vita, che tu sia un calciatore o uno studente, una giovane universitaria o una soubrette, l’importante è colpire per fare male, scaricare le proprie frustrazioni e la propria pochezza: come si dice innalzare se stessi facendo crollare gli altri. Insomma, il contrario di ciò che farebbe chiunque voglia, invece, prendere esempio, migliorarsi, crescere per raggiungere i propri obiettivi.
Ciò che rende ancora più disdicevole tutto ciò, ammesso che sia possibile, è che purtroppo al di là dei commenti da social, tutta questa acredine e voglia di abbattere il nemico a colpi di tweet e di post è diventato, purtroppo, anche l’obiettivo primario di chiunque abbia un ruolo pubblico. Basta dare uno sguardo ai profili social di molti politici, per accorgersi di quanto sia caduto in basso il dibattito pubblico in questo Paese.
Nulla contro il mezzo in sé, che sarebbe una gran cosa se lo si sapesse usare davvero. Ma così come è stato in passato per la televisione, passata da divulgatrice di massa a mero mezzo commerciale e trash, anche il web è passato dall’essere una potenziale arma di libertà a strumento di autoconvincimento delle proprie capacità, che non si sbaglierebbe a definire del tutto assenti. E questo non solo per i “comuni mortali” ma anche per chi è o si ritiene classe dirigente. Conoscete un personaggio pubblico che faccia dichiarazioni o commenti utilizzando mezzi diversi? C’è qualcuno di loro che ami farsi intervistare, quindi che utilizzi il dialogo per comunicare e non il monologo della diretta social? Servisse almeno a far trapelare un barlume di idea, invece no. Attacchi, solo attacchi e slogan atti a demolire il nemico.
Anche i media ufficiali si sono piegati a questo scempio della comunicazione, tanto che tg, trasmissioni tv e anche gli stessi giornali nella loro versione web utilizzano quasi esclusivamente i social per fare informazione: si cita il tweet dell’uno o il post dell’altro, ma di un’Intervista non vi è traccia. La maiuscola è voluta perché anche quando l’intervistatore c’è, spesso fa tutto tranne che intervistare davvero.
Il salto dagli insulti e le minacce a Morata ai nuovi mezzi di comunicazione non è un volo pindarico. È, purtroppo, la triste realtà del momento. Meraviglia molto che non ci sia alcuno che anche per sbaglio citi questo decadimento della comunicazione e dell’informazione. Quei pochi che ne denunciano l’esistenza sottolineano i tempi che cambiano, come se questa fosse una giustificazione da cogliere nella sua ineluttabilità.
Il diritto di ognuno di rapportarsi al mondo dei social come meglio crede è assolutamente inalienabile, che questo significhi che ognuno possa farne ciò che vuole senza che si batta ciglio è un altro conto. Così pure che si voglia utilizzare il mezzo di trasmissione per bypassare qualsiasi tentativo di ricondurre la comunicazione nell’alveo della scelta democratica del codice comune da utilizzare.
Questo è quello che sta accadendo. Che sia voluto o solo figlio dei tempi, come qualcuno ama dire, non è ancora dato saperlo. Certamente il timore che la prima ipotesi sia quella che più si avvicina alla realtà è particolarmente credibile, ma soprattutto particolarmente preoccupante.