G8 Genova 2001: confessione di un giornalista 20 anni dopo

Quello che abbiamo fatto nel luglio 2001 a Genova è sicuramente legato all’esigenza di attirare l’attenzione, di seguire la massa, di stare al gioco. Un gioco sì. Lo abbiamo fatto perché altrimenti sarebbe stato tutto più noioso, più difficile da diffondere, sarebbe stato tutto meno movimentato. 

Eppure di movimento ce n’era in quel venerdì 20 luglio, anche nei giorni e nei mesi precedenti. Ecco, forse la cosa più sincera da dire oggi è che a Genova di movimento ce n’era fin troppo

Quando si arriva a descrivere un fenomeno con l’aggettivo “troppo”, vuol dire sempre che i tempi sono maturi perché qualcuno inneschi una miccia: se c’è troppo in ballo e il rischio diventa palpabile, c’è sempre chi può approfittarne senza rischi e senza limiti

<<Voi G8, Noi 6 miliardi. Voi il Male, Noi la Cura>>. Rete Lilliput (promossa da Padre Alex Zanotelli), Legambiente, Marcia Mondiale delle Donne, Arci, Fiom e Unione degli Studenti si muovono in massa nelle zone costiere e nella periferia Est. Tanti colori, tanti slogan, tanta musica, tante idee, troppe e soprattutto troppi. 

Arrivano da tutto il mondo, il golfo di Genova si apre ad arco su una marea umana organizzata ma multicentrica, senza una testa al comando ma con migliaia di teste mobilitate. Un afflusso crescente nel quale confluiscono associazioni per la tutela animale, per i diritti umani di gay, lavoratori, donne, migranti, e per l’ambiente, l’equità finanziaria, lo stop alle armi. Sono tanti, sono troppi. 

Nelle sedi dislocate del GSF (il Genoa Social Forum) confluiscono le alleanze con i movimenti europei, sulla base di un progetto convergente verso un piano ben preciso, quello rappresentato da Attac France: l’Associazione per la Tassazione delle Transazioni Finanziarie e per l’Aiuto ai Cittadini. L’idea è quella di introdurre la “Tobin tax” in tutto il mondo, il cui ricavato fosse usato per finanziare progetti sociali; un progetto che trova radici già nel lontano dicembre 1997 da Ignacio Ramonet, direttore di Le Monde Diplomatique, in un editoriale pubblicato dal mensile francese e intitolato “Disarmare i mercati”. 

Che idea assurda, troppo assurda. 

Il terreno è fertile per aspettare ben altro, e noi lo abbiamo fatto. Abbiamo mantenuto un profilo basso, ma nei giorni precedenti abbiamo lanciato i primi carichi da novanta

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1187. Sono MilleCentoOttantaSette le sigle che hanno aderito al GSF: 86 genovesi, 929 nazionali e 172 internazionali:  associazioni, partiti, centri sociali, sindacati, ONG italiane ed estere. Sono il <<Movimento dei movimenti>>. Oltre 50 nazioni si ritrovano oggi rappresentate per le strade di questa città in bilico su un lingua di terra, che freme e si muove per parlare di futuro al presente. Inizia a diventare tutto troppo nelle strette strade di Genova. 

“This is the first mass movement in history that isn’t asking anything for itself, we are demanding justice for the entire world”.
Questo è il primo movimento di massa nella storia che non sta chiedendo niente per se stesso, stiamo domandando giustizia per il mondo intero”: così Susan George apre a Genova, il 16 luglio 2001 la sessione inaugurale del Public Forum organizzata dal GSF. Questo discorso sui giornali non arriva, non esiste e non ne resterà traccia. Il viso della George non la conosce nessuno. A noi serve altro, perciò andiamo a prendercelo. 

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Arrivano: tedeschi, brasiliani, francesi e spagnoli. Arrivano greci, olandesi, canadesi ed ecuadoregni. Parlano tutti la stessa lingua: quella della Tobin Tax, ma parlano anche di medicinali e di eliminazione dei brevetti sulle emergenze sanitarie e sui farmaci salvavita. 

Parlano di agricoltura e sovranità alimentare, di contrasto allo sfruttamento minorile e minerario nelle zone depresse del mondo. Il Manifesto del Genoa Social Forum parla anche di controllo dei movimenti di capitali, per evitare bolle speculative e crisi finanziarie. 
A chi, quando e come servono queste cose dopo il 2001? 

Le zone rosse sono nei nostri obiettivi, non quelle tracciate sulla mappa dalle forze dell’ordine: noi puntiamo alle zone rosse di sangue e violenza. Questo è ciò che conta davvero: le 5 “esse” del giornalismo: Soldi, Sesso, Sport, Spettacoli, Sangue. Abbiamo tutto quello che ci serve: di sangue ne scorre e ne scorrerà; documentarlo è il nostro sport con cui montiamo uno spettacolo che ci farà fare soldi, riuscendo a soddisfare quasi più del sesso una sete di notizie facili e soprattutto impressionanti. 

Da via Montevideo a via Tolemaide e poi sù, verso Corso Torino nei pressi di Brignole, in corse rocambolesche all’inseguimento del Battaglione “Lombardia” e degli altri reparti antisommossa dei Carabinieri e della Polizia di Stato. La nostra presenza deve essere costante; il racconto dettagliato di Genova deve passare e passa minuto per minuto, giorno dopo giorno, dal filtro del plexiglass degli scudi delle forze dell’ordine, tra l’opacità dei fumi dei lacrimogeni o delle auto incendiate. Ogni immagine si cristallizza tra le venature dei vetri frantumati. 

Avevo 14 anni nel 2001. Oggi ne ho 34 e sono un giornalista. Mi rendo conto di quanto le nostre pagine e i nostri teleobiettivi si siano macchiati di quel sangue in cui è annegato il più imponente movimento globale. Abbiamo continuato a farlo, esattamente 10 anni dopo, nel 2011 con il movimento “Uniti Contro la Crisi”, fin da quando gettava le sue basi nel 2010 con la riforma universitaria della “legge Gelmini”. Lavoratori, studenti, precari e migranti confluivano in una direzione, noi Mass Media andavamo nell’altra, raccontando di scontri e di “Er Pelliccia” col suo estintore su tutte le prime pagine. La tecnica è sempre la stessa, i risultati anche.

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Forse, sarebbe stato troppo impegnativo e rischioso: avremmo dovuto tenere il passo con un nuovo mondo, fuori da ogni schema precostituito, compreso il nostro, quello mediale conosciuto fino ad allora. «Don’t hate the media, become the media» («Non odiare i media, diventa i media»). E loro lo sono diventati: gli eventi del G8 di Genova e dei mesi precedenti, a partire da Seattle, sono stati forse i più documentati in assoluto da parte di telecamere private, non organizzate e totalmente autogestite.

Senza le immagini dei videomaker indipendenti, riuniti sotto il network di Indymedia (l’Independent Media Center), il mondo avrebbe saputo molto poco di quanto accaduto realmente a Genova, compresi i fatti della scuola Diaz. Una moltitudine contestatrice sparsa su tutto il pianeta, una realtà fluida e globale in grado di darsi appuntamento e comunicare le proprie idee in tempo reale, incentrata sull’utilizzo di Internet, sulla famosa rete di comunicazione globale. Il lavoro narrativo per raccontare tutto ciò sarebbe stato altrettanto imponente: inchieste, analisi, studio dei dati.

Abbiamo scelto la via più semplice, rincorrendo quella parte di mondo da sempre “immune al cambiamento”, assetata di etichette, nemici, buoni e cattivi, di semplificazioni e spettacolarizzazione. Abbiamo perso l’occasione di raccontare come il mondo sarebbe potuto essere, se il “Movimento dei movimenti” etichettato semplicemente “No-Global” fosse esploso, diventando realmente globale. 

Marco Giordano

FONTI:

Sito ufficiale del Genoa Social Forum, aperto e chiuso nel 2001: http://www.genoa-g8.org/

Oggi presente nell’archivio storico del web:
https://web.archive.org/web/20010918123629/http://www.genoa-g8.org/
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Firmatari Genoa Social Forum (1187 soggetti):
https://web.archive.org/web/20011021054121/http://www.genoa-g8.org/adesioni1.htm
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“This is the first mass movement in history that isn’t asking anything for itself, we are demanding justice for the entire world”.
“Questo è il primo movimento di massa nella storia che non sta chiedendo assolutamente niente per se stesso, stiamo domandando giustizia per il mondo intero”: così Susan George apre a Genova, il 16 luglio 2001 la sessione inaugurale del Public Forum organizzata dal GSF, il Genoa Social Forum.
https://www.vittorioagnoletto.it/2011/03/17/verso-il-decennale-di-genova-unattualita-sempre-drammatica/

(Vittorio Agnoletto, già portavoce del GSF nel luglio 2001 a Genova – Articolo pubblicato su ” l’Unità”il 17 marzo 2011)
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«Questo è il primo movimento di massa della storia che non sta chiedendo niente per se stesso». Del resto, è a queste parole che hai affidato l’incipit del tuo film.

= INTERVISTA a Daniele VICARI – regista del film “DIAZ”
https://left.it/2016/07/20/daniele-vicari-la-nostra-e-una-democrazia-incompiuta-genova-2001-15-anni-dopo/
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Le idee del Movimento No-Global:
https://www.valigiablu.it/g8-genova-movimento-dei-movimenti/

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