Il fenomeno della sovrabbondanza di prodotti culturali di tipo fantastico/fantasy/fantascientifico è parallelo a quello della loro massificazione: supereroi, astronavi, orchi, elfi, draghi e macchine del tempo. Anche la tradizionale dicotomia politica, figlia dei rigidi schemi mentali degli anni settanta, per cui il fantasy è “di destra” mentre la fantascienza “di sinistra” sembra superata, nel calderone del pensiero appiattito contemporaneo. Il valore sovversivo di autori come P.K. Dick e J. G. Ballard viene annullato nelle traduzioni cinematografiche delle loro opere, come accaduto ai romanzi grafici di Alan Moore: i suoi V per Vendetta e Watchmen sono diventati simboli travisati e utilizzati dall’alt right (la destra alternativa trumpista), stravolgendone completamente il messaggio libertario.
In questo senso, diventa fondamentale ripensare un certo tipo di narrazione. Probabilmente a facilitare questa appropriazione culturale è stata la preponderanza di un punto di vista, condiviso dalla maggior parte degli autori e del pubblico: quello occidentale, bianco, maschile, eterosessuale e anglosassone, se escludiamo alcune sacche di resistenza di lingua spagnola o nell’Est Europa.
Parlando nello specifico di sci-fi (abbreviazione di Science Fiction), è difficile sfuggire a un certo senso di superiorità di marca coloniale: si avverte sia nella space opera più commerciale (sì, Star Wars, sto parlando di te) che nelle opere più orientate in senso progressista (Huxley, ad esempio).
Probabilmente, questo deriva dal fatto che la fantascienza è figlia del pensiero positivista, un caposaldo del Novecento: un pensiero ingenuamente fiducioso in cui si annidano le degenerazioni imperialiste e francamente razziste.
Se il protagonista di turno (maschio e occidentale) compare circondato da suoi simili in posizioni di potere, la china è scivolosissima e ci vuole poco a considerare “selvaggi” quelli che non si conformano al canone dominante. Gli antichi greci del resto chiamavano “barbari” quelli che non sapevano parlare correttamente la loro lingua, con lo stesso genere di sufficienza tanto diffusa pure oggi negli ambienti accademici (se avete pensato a certi baroni universitari con grossa presenza mediatica non siete fuori strada). Per smontare questo andazzo, è necessario ascoltare una pluralità più vasta possibile di voci: non per il “politicamente corretto”, refrain utilizzato da chi ha il terrore di perdere la posizione dominante anche nella creazione di mondi di fantasia, ma per allargare ancora le potenzialità di un genere che sembra ristagnare.
Del resto, il mondo promessoci negli anni 80, fatto di volopattini e replicanti, non si è visto; in compenso viviamo in un presente impregnato dei peggiori incubi distopici, dal disastro climatico alla pandemia. Si può ancora scrivere fantascienza oggi, quando quella con cui siamo cresciuti ci ha illuso: basta ripensarla. Per questo risulta prezioso il lavoro di voci post-coloniali, come Nnedi Okorafor o Carlos Hernandez. Entrambi autori di lingua inglese, entrambi discendenti della diaspora coloniale: Okorafor è di origine nigeriana, Hernandez è figlio di cubani.
Nnedi Okorafor, vincitrice di premi prestigiosi come Hugo e Nebula (i due maggiori riconoscimenti per chi scrive fantasy e sci fi) ha spesso affrontato apertamente il tema della scarsa diversità nella letteratura di genere, mettendo in risalto come il ricco patrimonio culturale dei paesi del Sud del mondo venga banalizzata e appiattita (viene subito in mente il Wakanda della Marvel).
I suoi romanzi prendono quindi le mosse dalla tradizione orale nigeriana trasfigurandola in senso futuristico: un ottimo esempio è Binti, opera indirizzata a giovani adulti ma fruibile anche da lettori più scafati. Nel romanzo, la protagonista è un’adolescente africana catapultata in una università interplanetaria; la classica dinamica del romanzo di crescita si interseca con le difficoltà per le differenze culturali e con temi più tipicamente fantascientifici: guerre tra imperi galattici, compagni di corso non umanoidi, mutanti.
Il mondo costruito da Okorafor ha la solidità della migliore fantascienza, ma gli sviluppi narrativi sono sorprendenti.
Carlos Hernandez, è poco reperibile in traduzione italiana, ma nel catalogo Amazon si trova una sua raccolta di racconti, dal fenomenale titolo “Guida Cubana Integrata alla Santeria Quantistica” (e fenomenali sono i racconti). La narrazione precisa di stampo anglosassone si fonde molto bene con tocchi di realismo magico tutto latinoamericano: orfani che si rivolgono alla santeria (la religione afrocubana degli schiavi) per riavere i propri cari, esperti di riproduzione dei panda giganti e pianisti che scaricano la propria anima nello strumento.
E’ evidente che anche il più futuristico e moderno dei generi abbia bisogno di svecchiarsi e liberarsi da stilemi restrittivi e rassicuranti: acquisire nuove voci e nuove prospettive è uno dei modi per farlo.
Domenico De Pascale