Gli astenuti e gli indecisi. A poche ore dal voto europeo, tutti i maggiori istituti italiani si affannano ad affermare che nessun esito è scontato e che anzi le molteplici variabili potrebbero incidere sulle tendenze e configurare scenari imprevedibili. Le previsioni, ammettono, potrebbero rivelarsi inesatte al netto di un’affluenza tutta da verificare. Il divieto di divulgazione dei sondaggi costringe a esaminare soltanto le ultime rilevazioni risalenti a circa due settimane fa. Le medie fotografano una situazione estremamente liquida: solo poco meno del 40% degli aventi diritto è già sicuro della lista cui destinare il proprio voto, il resto si colloca in un’area popolata in buona parte dagli indecisi ma occupata anche da coloro che alle urne proprio non intendono andarci e che, secondo gli ultimi sondaggi, rappresenterebbero almeno il 25% degli italiani.
Astensionismo
Il progressivo allontanamento dalle urne per le elezioni europee (dal 72% del 2004 al 57% del 2014) sembra dunque arrestarsi. Gli esperti scommettono su un incremento dei votanti, innanzitutto per effetto della concomitanza con le amministrative. La tornata per il rinnovo dei consigli comunali riguarderà oltre sedici milioni di elettori e, inevitabilmente, fungerà da traino. Una maggiore partecipazione è preventivabile in virtù della posta in gioco, tutta nazionale. Mai come in quest’occasione, ai programmi da rappresentare in sede europea non è stata riservata la dovuta attenzione, a esclusivo beneficio degli equilibri politici interni, di una discussione incentrata sulle spaccature di un governo in bilico. Che ha polarizzato l’elettorato, creando divisione e quindi maggiore mobilitazione. Una gara non soltanto interna alla maggioranza, con Salvini abile nel chiamare a raccolta i suoi nella stessa misura in cui rischia di irrobustire il fronte anti-Lega, incarnato principalmente dal Pd di Zingaretti. L’indice di consenso delle due forze di governo è ancora alto a poco più di un anno dal trionfo delle politiche, e una buona affluenza tenderebbe a favorirli. Nonostante si tratti di partiti di governo, nell’anno appena trascorso il loro ricorso alla propaganda non si è minimamente ridotto. Cavalcano e strumentalizzano il malcontento meglio di chiunque altro, attraendo un voto di protesta altrimenti destinato all’astensione o, più modestamente, a piccole formazioni collocate ai due estremi.
Indecisi
Secondo Euromedia Research, oltre il 30% degli elettori decide nelle ultime due settimane chi votare, determinando spostamenti decisivi. Un panorama non fotografato dai sondaggi. I meccanismi decisionali, come ripetono gli esperti, sono sempre più imprevedibili. E oltre alla tempistica conta il mutamento stesso dell’elettorato, rispetto al passato più fluido e meno legato a logiche di appartenenza. Il cosiddetto voto ideologico, dunque, è ormai ridotto ai minimi termini. La Lega deve ottenere almeno il 30% se non vuole deludere le aspettative. Superare la soglia consentirebbe al carroccio di capovolgere completamente i rapporti di forza all’interno della maggioranza e acquisire maggiore potere decisionale. Sconfinato, se riferito al centrodestra. Mentre tra Pd e M5S si disputa un duello fondamentale per i futuri assetti della politica italiana. Qualcuno li ha considerati alla stregua di due semifinalisti in procinto di sfidarsi per guadagnare il ruolo di avversario principe della Lega. In tutto questo nel mezzogiorno si gioca la partita chiave, essendo il sud, con le sue punte di astensione o di partecipazione, l’area di grado di far saltare il banco. Nelle regioni meridionali, se l’affluenza regge sui livelli dello scorso anno, le forze di governo e i cinque stelle in particolare non dovrebbero avere problemi nel computo generale. Diversamente, se dovesse crollare, potrebbe avvantaggiarsene il Pd o le altre forze posizionate alla sua sinistra. Statisticamente, il voto del mezzogiorno, in relazione all’affluenza, ha sempre decretato il vincitore.