“Ero diventata Premier”: la ventitreesima puntata del romanzo di Cecilia Alfier

“Erano i giorni prima del quattro dicembre,” dice Idotta “ti ricordi qualcos’altro?”

“Era la sera del tre, era stata una serata memorabile ed io ero insolitamente logorroica. Ero nel posto più bello della provincia di Padova”.

“Sarebbe a dire?”

“A casa Desideri”

A casa Desideri si faceva teatro. È un posto spettacolare, la porta d’ingresso è sempre aperta, e poi è piena di stanze dove non si sa mai quello che si può trovare, prese per il cellulare, quadri, sedie e tavoli che spuntano dovunque. Nulla aveva senso, come nel mio cervello il 3 dicembre. Alessandro Desideri, il padre della famiglia, fa il cardiologo e ha un cuore di ferro. Lo abbracciai forte quella sera, perché dovevo a lui il mio posto in consiglio, lui mi aveva votata e mi aveva procurato le quattro preferenze che mi separavano dagli altri candidati. “Grazie di avermi votato, ora so perché lo hai fatto”. Lo informai anche di cosa volevo per Natale, come se lui davvero mi facesse regali.

“Vorrei un bracciale nuovo, col mio nome a lettere d’oro e i simboli delle quattro case di Hogwarts”. Alessandro mi mostrò il suo studio: un disordine allucinante con una scacchiera in bella vista. Lui giocava a un buon livello. Sapevo che era una persona importante per me, per questo imparai a memoria il suo numero di telefono. Un giorno gli telefonai per dirgli che il mio stile di gioco stava cambiando: prima aprivo, cioè cominciavo, col pedone davanti al Re, il che portava a partite aggressive, d’attacco; mentre ora mi capitava di preferire il pedone di Regina, quindi partite più lente ed equilibrate.

La moglie di Alessandro, Emanuela, è un’anima in pena. Parla a raffica, quasi sempre di Gesù Cristo, è lei che ha aperto la casa a questi spettacoli artistici. È una donna ferita, sempre inquieta, se vede un coltello si spaventa, è spesso stanca e malaticcia. Lei capisce il mio vuoto interiore, i miei periodi no. Quando mi hanno dimesso dopo il primo ricovero, è venuta a trovarmi, ha cercato di farmi dormire, perché ne avevo bisogno. Mi ha aiutato molto. Non so che sogni avesse, forseavrebbe voluto scrivere un romanzo, ma ha messo da parte tutto per i figli. Lei e Alessandro ne hanno avuti sette. Sette desideri, come nelle favole. Il più grande vive a Parigi, si chiama Pietro, lavora per l’UNESCO. A sentirne parlare, me ne ero innamorata, per le sue iniziali (PD), e avevo deciso di sposarlo. Peccato che quando l’ho visto quest’estate non è scattato nulla. Mi sto di nuovo perdendo. Il 3 dicembre 2016 Pietro non c’era. Il mio amico Marco mi stava portando a casa Desideri. Cominciò a sproloquiare sul fatto che con A., la sua ex, sarebbe stato benissimo se lei non gli avesse messo le corna. Lo fermai subito: “Tu non saresti stato bene con A., non sei mai stato bene con A. Avevate scale di valori diverse”. Ero fissata con le scale di valori, dal giorno dell’incontro con Tito Boeri.

“Ceci, non sei mai stata così sincera con me prima”.

“È che prima non sapevo tutte queste cose”.

Entrammo e ci avviammo verso il cibo. Non che fosse difficile, c’era cibo in ogni stanza. Davanti ai crostini con la salsa di capperi trovai Olivia, la primogenita. Era una delle prime volte che la vedevo e naturalmente attaccai un pippone sul Partito Democratico. Lo descrissi come una grande casa, non molto diversa da quella dove ci trovavamo, piena di armadi con molti scheletri. Con Pierluigi Bersani che rispettava tutti i turni di pulizia. “Quando Bersani alla festa dell’Unità ti parla del cinghiale che viene giù in paese e devasta le case tu lo devi ascoltare,” dissi a Olivia “altrimenti finisce come con la Brexit e con Trump, succede che il partito perde il contatto con le periferie e si condanna a morte”. Feci un altro po’ di sproloquio: “Sono tre le cose che caratterizzano un partito: storia, struttura e programma. È soprattutto la struttura che differenzia i democratici dagli altri, dal Movimento Cinque Stelle, il sistema di sezioni, sottosezioni, circoli, assemblee regionali, assemblee nazionali. Se la struttura funzionasse Renzi non potrebbe scegliere neanche i calzini da solo. Ogni volta che fai una mossa da segretario devi rispettare storia, struttura e programma. Renzi non lo fa”.

Poi conclusi: “È un pessimo segretario e cadrà”.

Olivia disse che dovevo parlare così di politica ai ragazzi, che mi avrebbero ascoltato. Ogni volta che qualcuno cercava di interrompermi gli intimavo simpaticamente di stare zitto.

“Fantastico, Ceci” commentò Olivia “E di Giorgio, cosa ne pensi di Giorgio?”

Giorgio era suo moroso nonché fratello del mio amico Marco, era lì anche lui perché il mondo è piccolo. Più giovane di Marco, studiava a Torino. La quarta superiore l’aveva fatta in America.

“Prima di andare negli Stati Uniti, Giorgio si trovava bene a casa di Marco. Condivideva tutti i suoi valori, lo scoutismo e il resto. Poi, durante il viaggio ha conosciuto nuove realtà, la sua scala di valori si è modificata. Quando è tornato non si ritrovava più nel suo vecchio mondo. Pensava di essere capitato in un branco di rincoglioniti”.

Riproduzione riservata ©