“Ero diventata Premier”: la ventisettesima puntata del romanzo di Cecilia Alfier

Incitai la libraia alla rivoluzione comunista, mentre il collega uomo serviva i clienti. “Per centinaia di anni sono stata costretta a vivere nell’ombra, con l’uomo che scriveva la storia, mentre io ero invisibile. Mi hanno insegnato codici, password, indirizzi mail istituzionali, hanno fatto di tutto per farmi dimenticare il mio nome”. Attenzione perché qui il mio discorso si fa più delirante. “Io volevo solo donare, ma mi hanno cacciata, sono così arrabbiata e ferita. Il mio vero nome è Massimo, D come… come donna, perché sono sempre stata una donna e voi non l’avete mai capito e poi c’è l’apostrofo, perché ho sofferto, ho l’anima spezzata. Insomma, in verità sono Massimo D’Alema!”.

La libraia aveva scavalcato il bancone per venirmi a parlare. Le dissi tutti i segreti su come leggere Harry Potter, di come avessero tolto la politica (e le lezioni di storia) dai film sennò la saga sarebbe stata troppo pericolosa a livello sociale. Le dissi di sostituire i nomi con quelli che più preferiva o quelli di politici italiani. L’effetto comico iniziale si sarebbe presto perso. Feci altri discorsi senza senso di questo tipo e lei sbiancò. Stavo gettando delle buone basi per la rivoluzione. Tornando a casa incrociai Luca, coetaneo di mia sorella. Gli chiesi di chiamare sua madre, per vedere se aveva fatto l’esperimento di lettura con Harry che le avevo consigliato. Ero proprio fissata. Avrei dovuto superare la fase magica, come tutti gli adulti.

“Che esperimento?” fece Luca.

“Chiamala e lei ti dirà”.

“Pronto madre…C’è qui la Ceci che chiede se hai fatto l’esperimento con Harry Potter, che ti aveva detto”. E poi, rivolto a me: “No, dice che non ce la fa a leggere Matteo Renzi e la Pietra Filosofale”.

“Luca, per lei non c’è più speranza, devi farlo tu. Quando avrai finito, chiamami a qualsiasi ora e io ti darò il vero Harry Potter. Allora diventerai un mago”.

“Sicuramente, Ceci”. Della serie questa è fuori di testa.

Alla fine mio padre, che stava uscendo di casa mentre io rientravo, mi aprì il cancello. Chiaramente anche questo era unmessaggio dell’Universo.

Dovetti raccontare tutto nei dettagli a mamma, la quale era parecchio preoccupata, ci mancò poco che mi proibì di uscire. “Devi smetterla di comportarti così, perché non è normale”.

“Che cosa non è normale?”. Non capivo proprio “E comunque: ExpectoPatronum!”. Ero davvero convinta di poter evocare un patrono: a volte prendeva la forma di Axel, altre volte del mio amico Marco, a volte somigliava a Bernie Sanders. Bernie era un senatore democratico americano, avversario di Hilary Clinton alle primarie. Avrebbe di sicuro sbaragliato Trump, ma l’America non era pronta a farsi governare da uno così di sinistra. Seguo le battaglie di Bernie su Facebook ed è un vero eroe per me. In quei giorni lo volevo assolutamente incontrare. Oppure il mio patrono somigliava all’Italia, colorata e senza mafia, così come l’avevo sognata, anzi vista. Evocare quest’ultimo patrono era più difficile: mi mettevo in posizione e facevo il segno della croce in maniera plateale, come una benedizione papale. Solo che al posto di Padre, Figlio e Spirito Santo, dicevo “ProtegoMaxima”, “Planto duri” e, aprendo le braccia, “ExpectoPatronum”. Stavo imparando anche “incarcerante” e “vulnera sanentur”, ma andiamo con ordine. ProtegoMaxima era importante per me, in quanto futuro segretario del PD. Mi serviva per proteggere Massimo D’Alema, ogni mia azione avrebbe potuto fargli del male, a lui che era già la parte più ferita della politica italiana. Con questo incantesimo Massimo ed io non solo ci proteggevamo a vicenda ma proteggevamo anche l’umanità. Lo usavo in presenza di no-vax. Non era completo senza “Planto duri” (non so nemmeno se si scrivesse o si pronunciasse così), serviva a diventare invincibile in qualsiasi condizione. Avevo tradotto con “Piangere è difficile”, ma anche “Il pranzo è duro” (già all’epoca avevo difficoltà a deglutire). Era un riferimento agli stenti della guerra. Era un incantesimo che mi dava una forza incredibile. E poi, finalmente, potevo evocare un patrono. Lo facevo ogni volta che i miei sembravano opprimermi. Lo scrissi anche su Facebook: “ExpectoPatronum!”. Con molte E e molti punti esclamativi. Marco mi rispose subito: “Riddiculus!”.

Riproduzione riservata ©