“Ero diventata Premier”: la venticinquesima puntata del romanzo di Cecilia Alfier

Volevo anche dirgli che si era consumato un evento epocale, che gli elettori avevano scelto un nuovo leader, sarebbe a dire me. Come facevo a convincerlo a portarmi da Mattarella? Avevo in mano la soluzione ai problemi dell’Italia, dovevo formare il governo subito. Non c’era un minuto da perdere. Per prima cosa dovevo accontentare la sua assurda richiesta di sapere l’affluenza alle urne. Con molta fatica rientrai nel seggio. Mi avvicinai a uno degli scrutatori che, giuro, non aveva detto altro che numeri per tutta la giornata.

“Quant’è stata l’affluenza?” domandai.

“81,4%”

Dai Ceci, fagli una domanda che non si aspetta.

“Quello zero virgola quattro è un braccio o una gamba, secondo te?”

Lui mi guardò senza capire e disse una cosa memorabile: “81,7%”.

Era stata una conversazione assurda.

Il dottor Idotta mi sorride, uno di quei sorrisi tristi che riescono solo a lui. “E questo è tutto quello che è successo nel seggio?”

“Sì. Più o meno è andata così. Poi la notte ho dormito poco. Ricordo di aver acceso la luce da lettura. Tremavo tutta, ho svegliato mia sorella per dirle che c’erano i fantasmi”.

Agnese, Agnese, ci sono i fantasmi, mi prenderanno e mi porteranno via. Come faccio a scacciarli? E lei, con un sospiro: “Spegni la luce e dormi”. Il buio e la solitudine del letto cominciavano a farmi paura, paura e sete. Probabilmente urlai, perché in quel momento entrò mio padre per dirmi di smetterla. Si sdraiò accanto a me e cercò di spegnere la lampada, ma io glielo impedii. Era un gioco stupido che facevamo io e mia sorella da piccole: lei cercava in tutti i modi di premere l’interruttore della lampada e io dovevo ostacolarla.

“Potrai spegnere la lampada solo dopo che avrò bevuto” dissi a mio padre. Lui mi diede la bottiglia dal comodino e io bevvi avidamente, finché lui non me la tolse di bocca. “Basta bere, ora dormi”. Spensi la luce. Dopo tre minuti l’accesi di nuovo. “Ho sete ancora”.

“Basta, Cecilia, sei esasperante”.

“Immagina che quello lì sia l’ultimo sorso d’acqua della tua vita. Non faresti di tutto per averlo?”

Papà mi fece bere ancora e io spensi la luce. Continuammo così, con questa pantomima, finché non vuotai la bottiglia. Poi, invece di dormire, me la feci sotto.

“Sa dottore, con tutta quell’acqua”

“Capisco, dev’essere stato umiliante per te”.

“Abbastanza, ma anche bagnare il letto fa parte della vita del leader”.

Quella fu la prima di una serie di notti e di giorni molto strani. Mia madre voleva sapere per filo e per segno come trascorrevo le mie giornate e mi regalava cose e mi faceva domande insolite sui significati delle cose. Mi diede anche istruzioni precise su come cenare sola con mio padre (lui stava diventando il Centrosinistra nella mia testa), i movimenti che dovevo fare, le parole che potevo dire, il cibo che potevo scegliere dal frigo.

“Cos’era cambiato nelle tue giornate, Cecilia?” Il dottor Idotta sembra preoccupato. Continuo a raccontare.

Avevo smesso di studiare perché dovevo salvare il mondo. Bevevo un sacco di caffè con gente importante o il caffè faceva già parte della visione? Ovunque andassi l’ombra di Matteo Renzi da interiore mi sembrava fosse diventata esteriore: mi seguiva. Le parlavo, le dicevo: “Guarda come si comporta un vero leader di sinistra”. Dopo di ché facevo casino in tutti i posti, in particolare nelle librerie.

La gente su Facebook mi scriveva dall’India per sapere chi fossi, avevo delle conversazioni con loro, molto profonde. “Sei una giocatrice di scacchi?” mi chiedevano. “Una specie” rispondevo io e poi parlavo loro della bellezza del mondo e della vita. Alcuni si presentavano col doppio nome. Allora io non rispondevo perché non ce ne era bisogno; avevano capito il messaggio.

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