“Ero diventata Premier”: la trentunesima puntata del romanzo di Cecilia Alfier

“Cecilia, cosa stai combinando?”. Dalla voce pareva che gli stesse per venire un altro infarto. Non era evidente? Stavo andando da Mattarella e poi al Parlamento, dove avrei tenuto un magnifico discorso che avrebbe illuminato le coscienze. Avevo visto anche quello, naturalmente. Ero lì, in Parlamento, in una seduta a camere congiunte, e parlavo di com’era bella l’Italia, di quello che avrei fatto per migliorarla.

“Mafiosi, corrotti, venite pure a prendermi! Non ho paura di voi, sono indistruttibile!” E tiravo fuori dalle tasche soldi del Monopoli. Quando arrivò l’ambulanza una delle mie ipotesi fu che i mafiosi fossero venuti a prendermi.

“So quello che faccio” dissi a mio padre “Stai sereno”.

“Non sai niente, vai a dormire”.

Mi sollevò di peso e mi rimise a letto. Ero di nuovo al punto di partenza, dunque. Ma per nulla al mondo avrei rinunciato al mio discorso. Questa fissa del discorso era tutta colpa di Paolo Sorrentino e di The Young Pope. Avevo visto la prima puntata, dove il protagonista si affaccia dal balcone e fa tutto un pippone sull’importanza delle donne e del gioco, poi si sveglia e scopre che era tutto un sogno. Da quel giorno mi sono messa in testa che dovevo tenere un discorso.

Chiusi gli occhi e fui di nuovo immersa nella visione: c’era anche Axel questa volta, ma non mi poteva vedere. Vivevamo due vite parallele, ma entrambi volevamo un’unica cosa: giocare a scacchi. Vidi come tutt’e due venivamo educati a forza a stare al mondo, alle cose normali, come andare al parco, vestirci, mangiare. Tutte cose di cui non comprendevamo il senso. Per lui era più facile, lui aveva la strada spianata verso la scacchiera; io, invece, dovevo continuamente rispondere a domande sgradevoli, sul fatto che non sapevo camminare e come avrei fatto, eccetera. “Ma io voglio solo giocare a scacchi!” rispondevo. Pian piano l’incontrare tanta gente plasmava la mia personalità, faceva nascere in me ambizioni che andavano oltre la scacchiera, il mio sguardo si allargava, cominciavo a provare empatia con tutti quelli che mi parlavano. Giocare a scacchi non era più la mia sola priorità. Nel frattempo, tutto il mondo cospirava per tenermi lontana da Axel. Ogni volta che stavamo per avvicinarci, subito una forza ci allontanava. Finché apparve Fil, il maestro di meditazione, che me lo portò via definitivamente. Nella visione Fil rappresentava tutti i cattivi maestri, in diretta contrapposizione con Degli Innocenti, che invece era il bene.

Non so esattamente cosa mi avesse dato fastidio in Fil, forse le sue idee alternative sulla medicina (era seguace del dottor Hamer) o il modo superficiale in cui parlava di economia o come si atteggiava a filo-orientale. Credo che la canzone Occindentali’s Karma sia dedicata a lui. Ricordo il giorno in cui iniziai a detestarlo. Quando disse anche che i politici di sinistra e di destra sono stupidi e che bisognava stare nel mezzo. Inutile dire che Axel lo adorava. Ho sempre pensato che sarebbe stata una ragazza a dividerci, ma mi rendo conto che fra noi c’è una distanza incolmabile. Una sera andai alla presentazione del corso di lettura tridimensionale di Fil, portai anche Marco con me. Fil cominciò a parlare di un suo progetto che non stava né in cielo né in terra, per cui stava cercando dei fondi. Lanciai un’occhiata a Marco e vidi che anche lui condivideva le mie perplessità. Poi feci la mia mossa a sorpresa: tirai fuori un volantino che avevo staccato dalla bacheca dell’Università, parlava di un corso di meditazione gratis. Fil rise e disse che se mi interessava potevo andarci. Quella fu l’ultima volta che vidi Fil e ora veniva a disturbare la mia visione. Sapevo che avrei dovuto scontrarmi con lui e con Axel, altrimenti non sarei mai riuscita ad andare avanti.

Per diventare un grande politico dovevo battere il mio vecchio amore a scacchi. Più la partita si avvicinava, più la tensione cresceva.

La visione d’improvviso mi restituì un ricordo. Ero in macchina, diretta al mio ultimo torneo a Chioggia. Nei sedili dietro c’erano due che battibeccavano sulla riforma, a me ancora non interessava nulla. Appena entrata nella sala di gioco, mi imbattei subito in quello che avrebbe dovuto essere l’editore di Scacchi Proibiti, Valerio. Poi, per una serie di circostanze, avevo dovuto cambiarlo. Valerio avrebbe pubblicato il romanzo a puntate su una rivista, “Italia Scacchistica”, era una rivista storica che però aveva interrotto le pubblicazioni anni prima e non le aveva più riprese. Valerio era consigliere della Lega in una città del Veneto. Appena mi vide mi abbracciò e mi disse che ero la sua piddina preferita.

Tirò fuori la tessera della Lega e me la diede in mano. C’era scritto “Il Futuro è Indipendenza”, io ridacchiai. Era il motto più stupido che avessi mai letto.

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