“Ero diventata Premier”: la trentaduesima puntata del romanzo di Cecilia Alfier

Il suo banco dei libri era bellissimo, come al solito, c’erano scritti di scacchi da tutta Italia e di tutte le epoche. Poi Valerio mi spinse a tutta velocità in mezzo alle scacchiere mentre tutti gli altri giocavano, impennò la carrozzina e mi fece morire di paura, ma non potevo urlare per non disturbare i giocatori. “Bastardo, non posso urlare” gli sussurrai. Questa corsa apparteneva ad un altro ricordo, ma nella visione era tutto sovrapposto. Seppi che Valerio ed io eravamo immersi nel cerchio della vita del Re Leone. Seppi che tutti, fra Axel e me, avrebbero tifato me. Improvvisamente, la visione mi portò in un altro ricordo: il giorno della presentazione di Scacchi Proibiti, quasi a ricordarmi che non avevo scelto Valerio, ma un altro editore. Forse quello sbagliato? Non lo so, sicuramente uno più affidabile in quel momento. La diretta concorrenza di Valerio, ovvero Messaggerie Scacchistiche del maestro internazionale Roberto Messa. “È una casa editrice piccola” stava dicendo durante la presentazione “ci sono solo io”.  La visione mi stava suggerendo qualcosa, non che un editore fosse giusto e uno sbagliato, ma che mi sarebbero serviti entrambi per il mio progetto: scrivere il libro della mia vita. So che questo libro esiste, so che un giorno avrò la forza di scriverlo, altrimenti la visione non me l’avrebbe mostrato. Era tutto lì, davanti ai miei occhi. Di colpo ero tornata nel giardino dove avevo spogliato Renzi. Al posto dei due Matteo c’era un tavolo da esterno rivestito da una tovaglia a fiori con sopra una copia di Harry Potter e la Maledizione dell’Erede… La aprii e cominciai a scriverci cose, pezzi di me, piccole storie. I miei amici mi aiutavano, non scrivevamo soltanto, dipingevamo. Alla fine il libro era una meraviglia. Da quel momento non ho smesso di cercare di scriverlo nella realtà. Nella visione Degli Innocenti prese in mano il libro e disse che ero pronta.

“Pronta per cosa, professore?”

“La partita con Axel”.

Me ne ero completamente dimenticata. “Come faccio a batterlo?” domandai.

“Si ricordi che lei ha avuto insegnanti migliori del suo avversario”. Mi diede anche il mio telefono, il mio blackberry marchiato col numero quaranta, uno dei numeri che mi stavano perseguitando. Mi disse che, se avessi tenuto telefono e numero in tasca durante la partita, sarebbe stato come avere tutti gli amici al mio fianco. C’era davvero un numero quaranta incollato al mio blackberry, l’avevano messo degli arbitri di scacchi, quando avevano sequestrato tutti i telefoni dei giocatori durante l’ultimo torneo, quando avevo scoperto l’esistenza di un pedofilo fra gli scacchisti conosciuti. Il quaranta era importante per me, era il primo numero della mia carta superflash, era l’orrore della guerra. Ad un certo punto la visione mi suggerì che quaranta era l’età mentale che avevo quando sono nata e che dovevo tornare indietro. Una cosa assurda. Quaranta era anche il numero della vittoria.Ero ad una lotteria col mio blackberry. Comprai un paio di numeri e dissi: vale il quaranta dietro al mio telefono? In quel momento lo speaker annunciò “Quaranta!”. Non vinsi nulla, fu più che altro una vittoria morale. Nella visione presi il cellulare, me lo misi in tasca e mi avvicinai alla scacchiera. Lui era lì davanti a me, in piedi come se dovesse scappar via, come se la partita con me fosse talmente facile da non meritare la sua attenzione.

Mosse il pedone bianco davanti al Re. Io feci altrettanto, cosa molto strana visto che non era la mia apertura preferita col Nero. Lui tirò fuori un cavallo e io sbagliai risposta di proposito. Una mossa di pedone che oggi è ritenuta sbagliata, ma che era molto in voga nel Rinascimento. Aveva imparato un trucco da un vecchio libro di storia degli scacchi che sicuramente il mio avversario non aveva letto. Ricordo il giorno della mia laurea, quando eravamo ancora amici. Io gli diedi una foglia di alloro della mia corona da laureata e lui mi rispose: “Ceci, sai che io non mi laureerò mai, vero?”

“Io ci spero sempre”.

Il resto della partita fu ancora più assurdo. Dopo lo shock della mossa del Rinascimento, lui si era finalmente seduto e giocava mosse normali, da maestro, ma pur sempre normali. Mentre, quando toccava a me, cominciavano a comparire caselle che potevo usare solo io, alcuni miei pezzi diventarono Super Sayan. Alla fine, grazie al sostegno dei miei amici, il mostro fu abbattuto. Axel, Fil e compagnia bella scomparvero dalla mia visione.

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