Di padre in figlio. Un lascito d’amore

‘’Di padre in figlio’’.

Comincia sempre così, la passione per il cavalluccio.

A tutte le latitudini sociali, senza distinzioni di sorta.

E la scintilla, per essere innescata, non necessita di iniziazioni solenni.

Un ordinario momento quotidiano può spalancare il sipario ed introdurti in un mondo che comprende tutte le sfumature di un’esistenza vissuta pienamente.

E così accadde anche a me, in un soleggiato sabato pomeriggio a cavallo tra fine inverno ed inizio primavera del 1976.

Il momento dell’attesa passeggiata con il tuo babbo, che lavorava molto e vedevi poco nel corso della settimana.

Il tempio improvvisato in cui celebrare il battesimo granata, provvisto di tutti i simboli fedeli alla liturgia, mi attendeva.

I primi caldi suggerivano di sottoporre la mia zazzera da baronetto ottocentesco alla maestria di Don Mario, provetto barbiere che esercitava la professione in una sorta di pittoresco bugigattolo del rione Carmine.

Mio padre, quel giorno, decise che era giunto il momento di lanciare il mio cuore all’inseguimento dell’ippocampo.

Bastarono pochi secondi, dopo il mio ingresso nel salone di Don Mario, per sentirmi eccitato come Hensel e Gretel al cospetto della casetta di marzapane.

Erano tempi in cui i barbieri utilizzavano il cavallino per svolgere il loro lavoro sulla capigliatura dei mocciosi irrequieti.

Il cavallino di Don Mario era diverso, non apparteneva alla specie equina. Aveva una forma allungata, una morfologia esile ed era di colore rosso bruno. Alla base un piccolo sedile rettangolare. Il babbo colse la mia espressione perplessa e allo stesso tempo esaltata ed iniziò l’indottrinamento: ‘’questo è il cavalluccio marino, il suo colore è granata e, a partire da questo momento, gli vorrai bene quasi quanto ne vuoi a mamma e papà’’.

Quando hai 7 anni, le parole di tuo padre sono comandamenti che s’imprimono facilmente nell’immaginario e non sono sottoponibili a verifica. Ed infatti fu amore a prima vista.

Nemmeno il tempo di assaporare l’ebbrezza del primo approccio e Don Mario, con un tempismo rapace, mi pose a cavalcioni sull’ippocampo della sua piccola bottega, prima di rivestirmi con un grembiule granata al cui centro campeggiava ancora una volta un fiero ippocampo.

Così bardato, in groppa al nuovo eroe della mia infanzia, mi sentivo come un ardente cavaliere medievale, ma ancora non possedevo la consapevolezza degli ideali calcistici che avrei imparato a difendere strenuamente.

Rasato a dovere, smontai dal mio giovane puledro marino, quando improvvisamente la mia attenzione fu attratta da una foto che, alla pari di quanto avevo appena vissuto, mi scaraventò in una sorta di limbo colmo di potenziali delizie future, tutte da scoprire.

L’immagine ritraeva ‘Miguel’ Vitulano, goleador granata di quella stagione, impegnato nell’esecuzione di una spettacolare sforbiciata volante. Ad impressionarmi non fu tanto il gesto tecnico, essendo io ancora sprovvisto di solide nozioni calcistiche, quanto la maglia granata indossata dall’attaccante italo-argentino ed il cavalluccio bianco impresso sulla parte sinistra della stessa, all’altezza del cuore. L’intero armamentario che, pochi minuti prima, avevo visto avvolgere il mio piccolo corpo fremente.

Ebbi la sensazione, allora, di far parte di uno stesso esercito, ma ancora mi sfuggiva la meta ideale verso la quale eravamo diretti.

Il babbo sorrise e giunse in mio soccorso. Indicò Miguel e, guardandomi con espressione divertita, disse: ‘’Domani lo conoscerai’’.

Il suo tono, quasi oracolare, fece lievitare la mia eccitata immaginazione, a tal punto da trascorrere una notte quasi insonne.

Giunse la domenica, con il pranzo consumato in fretta e la corsa al Vestuti, che non avevo mai visitato prima. Mio padre indossava un berretto granata impreziosito dal solito cavalluccio in bella mostra, ed io mi sentii ancora più forte nel sentirlo schierato al mio fianco, protagonista della stessa gioiosa fuga verso una dimensione ancora ignota.

L’ingresso nel catino di piazza Casalbore, produsse una vera e propria folgorazione nel mio minuto corpo di ragazzino in preda ad una ingovernabile tempesta emotiva. Tutto intorno a me era una marea granata, nella quale si confondevano armoniosamente sciarpe, magliette, cappellini, fumogeni e bandiere.

Per la prima volta entravo in contatto con una certezza che non mi avrebbe più abbandonato: una simile milizia poteva vincere qualsiasi battaglia.

Poi ebbe inizio la partita ed il babbo, indicando Vitulano, si sbilanciò: ‘’Lui è Miguel, quello della foto, ed oggi farà almeno due gol’’.

Mio padre, a cui dedico questo modesto racconto, sbagliò la previsione: Miguel Vitulano, prendendosi beffa del suo ottimismo da tifoso, realizzò addirittura una tripletta.

Ma il babbo, che dieci anni fa è salpato verso altri lidi, può oggi sorridere nel veder pulsare in me, sempre più vivido e vegeto, il suo sconfinato amore per la Salernitana.

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