L’irreversibile crisi di governo, aperta da Salvini sul far di ferragosto, ha scosso dalle fondamenta il sistema cinque stelle, creando dapprima un effetto dispersione cui, però, è seguita una riscossa identitaria, un risveglio delle coscienze assopite (o soltanto marginalizzate). Il gran ritorno in scena del suo fondatore Beppe Grillo ha sicuramente agevolato questo processo di smarcamento dalla Lega, come se questi tredici mesi e mezzo di governo gialloverde fossero svaniti nel nulla o nell’ennesima giravolta che accorda alle necessità del momento la linea da seguire. Sul suo blog ieri è apparso uno dei lunghi sermoni cui il comico genovese ha abituato i suoi lettori, intitolato “La coerenza dello scarafaggio”: “Sopravviviamo! Il Movimento è biodegradabile – risuona il suo appello, seguito dalla velenosa sortita rivolta all’ormai ex alleato, parole che segnano un definitivo cambio di rotta – “Mi eleverò per salvare l’Italia dai nuovi barbari”. Salvini, definito sul blog come l’artefice di un restyiling in grigioverde dell’establishment, “un serpente che cambia pelle”, non sfugge all’immagine del codardo, prima ancora che traditore: “Se la gente vedesse le cose per come sono, capirebbe che quella di Salvini è una fuga. Scappa dagli impegni che ha preso. Sta scappando dal governo e dagli italiani remando nel lago del loro risentimento”. Gli fa eco un altro grillino della prima ora, il leader degli ortodossi, il Presidente della Camera Roberto Fico, il cui monito si fonda sul rispetto delle procedure e della Costituzione, argomenti evidentemente ostili per il leader della Lega: “I presidenti di Camera e Senato convocano le Camere. Solo il Presidente della Repubblica può scioglierle. E’ la nostra Costituzione, il nostro modo di vivere democratico”. Ma chi sosteneva, a buon ragione, che l’unica alternativa a questo governo fossero le urne, dovrà parzialmente rivedere la sua osservazione dopo gli ultimi travagliati passaggi della vita politica italiana. L’alternativa che lentamente si staglia all’orizzonte si chiama Governo di scopo, una possibilità da ricavare all’interno di un ampio arco istituzionale che comprenderebbe partiti e posizioni in guerra fino a ieri ma pronti a raggrupparsi sotto il probabile cappello del Quirinale per traghettare il Paese alle urne arginando l’egemonia politica leghista e permettendo al resto della platea di riorganizzarsi in vista del voto. Una linea che trova sponde nel Pd, soprattutto nell’area renziana, la cui maggioranza in aula frena le volontà di Zingaretti, sulla carta ancora contrario a questo tipo di soluzione, e si arroga un potere decisionale in grado di spostare gli equilibri. I contatti tra le parti, rigorosamente informali ma ben avviati, poggiano su minimo comune denominatore: la chiamata alle armi contro il nemico comune. Un’impostazione che troverebbe immediata adesione del popolo di centrosinistra così come della base grillina, svuotata del suo elettorato sovranista, confluito sull’autentico profilo offerto da Salvini, e attraversata da una brama di vendetta nei confronti del leader leghista. Si ragiona su un esecutivo che porti a compimento la riforma del numero di parlamentari tanto cara ai pentastellati, in calendario in aula agli inizi di settembre. Il Pd, che fino al momento ha sempre votato contro, raggiungerebbe un compromesso in cambio di una legge elettorale con sistema proporzionale. Ma l’aspetto più importante riguarda l’economia. Un eventuale voto in autunno si accavallerebbe al varo della manovra economica. Prima di fine settembre, infatti, il governo dovrà presentare la Nota di aggiornamento al Def, poi il Documento di bilancio entro il 20 ottobre, mentre per l’approvazione della manovra nel suo complesso la scadenza è fissata al 31 dicembre. La predisposizione dei documenti finanziari, in caso di campagna elettorale, spetterebbe comunque al governo uscente ma solo per gli affari ordinari. E in tal caso appare inevitabile il mancato disinnesco delle clausole Iva, 23 miliardi nel solo 2020, un eventuale disastro per i consumi che già stentano. Senza un ministro dell’economia in grado di poter condurre in porto la manovra e trovare le coperture necessarie, una bomba da 23 miliardi potrebbe abbattersi sull’economia italiana. E’ improbabile, infatti, che un nuovo governo all’indomani delle elezioni sia in grado di elaborare un disegno di legge in tempi così ristretti. Un governo tecnico o di scopo avrebbe pochi margini di manovra ma riuscirebbe almeno, sotto l’osservazione del Quirinale e con un credito maggiore da spendere in Europa, a disinnescare le clausole. Evitare a tutti i costi di inguaiare il Paese consegnandolo all’esercizio provvisorio che scatterebbe il 1 gennaio insieme alle clausole Iva come conseguenza della mancata approvazione della manovra, questo il motivo dell’avvicinamento di forze politiche che si sono opposte l’un l’altra con asprezza negli ultimi anni. Una soluzione che, va sottolineato, se attuata male rischia di ingigantire ancora di più l’onda sovranista caricata sull’Italia. Ma al di là degli sviluppi politici a breve termine, è ragionevole attendersi che centrosinistra e M5S, con l’ausilio delle più alte cariche dello Stato, si adoperino per scompaginare i piani al carroccio e per provare a sfidarlo poi nelle urne, forti di un decisivo contributo al Paese.