Crisi di ideali o di sistema?

Si fosse udita una sola parola di contestazione nei confronti del nostro stile di vita. Una sola parola che criticasse il sistema economico in atto. Alziamo la voce per difendere i nostri privilegi, credendoli diritti, ma non ci curiamo dei diritti degli altri. Lamentiamo la chiusura dei piccoli commercianti ma non ci rendiamo conto di esserne gli artefici con i nostri acquisti sul web. Amiamo mangiare comodamente a casa sfruttando lo pseudo lavoro di tanti piccoli schiavi che ci portano il cibo fino all’uscio. Amiamo risparmiare alla follia, dimenticando che ciò sia figlio dello sfruttamento degli ultimi del mondo. Quando ci renderemo conto di tutto questo e capiremo di averne colpa? Questa emergenza sanitaria sta mettendo in luce la criticità del nostro sistema ma non c’è una sola voce che lo evidenzi.

L’emergenza sanitaria che ci ha colpito ormai quasi da un anno, ci sta presentando le tante criticità del nostro stile di vita. L’approvvigionamento dei vaccini è solo l’ultimo capitolo di un libro che si sta scrivendo ormai da anni e che ora sta mostrando i primi conti da pagare.

Dalle prime lotte no-global abbiamo capito che qualcosa nel mondo stava cambiando dopo la guerra fredda e, al di là della personale considerazione che si può avere di quei movimenti, non si può non leggere gli ultimi venti anni con gli occhi di chi ha visto la politica abdicare completamente di fronte al potere finanziario. Un pezzo di mondo ha goduto alla grande in questi decenni e il resto è rimasto sempre più indietro, nonostante ci si racconti del presunto benessere raggiunto da numeri sempre più grandi di fette della popolazione mondiale.

Ma riusciamo davvero a pensarla in questo modo considerando il livello dei diritti umani di molti Paesi, della capacità economica di intere popolazioni che vivono sotto la soglia di povertà e della continua crescita economico-finanziaria di pochi, pochissimi, di fronte alle difficoltà di tanti, troppi?

Senza volersi allontanare troppo, ma lanciando il nostro sguardo oltre l’uscio di casa, cerchiamo di fare qualche piccola considerazione. I numeri sono indecenti e chiunque abbia voglia di approfondire potrà farlo senza troppe difficoltà, spulciando nei dati Istat o in molte ricerche fatte sul campo da organizzazioni di varia natura. Qui c’è solo il desiderio di leggere tra questi numeri per comprendere il degrado, sempre più forte, del nostro stile di vita. E, purtroppo, non si sente una sola voce alzarsi nel marasma generale, magari una voce di critica feroce ma costruttiva, nei confronti della nostra completa genuflessione di fronte a chi ruba un po’ dei nostri diritti giorno dopo giorno.

La parola d’ordine è “crescere”. Non c’è altro sulla bocca di tutti, nonostante il mondo che conoscevamo sia completamente cambiato e la politica sia stata assolutamente annientata dal potere finanziario e abbia sempre minori capacità di incidere sulle scelte locali e su quelle globali.

La caduta del muro ha sì rappresentato la fine di un’epoca di soffocamento delle libertà, ma ha lasciato completo campo libero a chi la libertà la legge solo attraverso il colore dei soldi. Gli ultimi anni del cosiddetto Secolo breve hanno gettato le premesse di quello che poi si è concretizzato negli primi anni del nuovo millennio: sono caduti sotto i nostri occhi le conquiste sociali del novecento, che sono state descritte come catene ai piedi delle nuove generazioni, che impedivano loro di prendere slancio verso un futuro idilliaco e fatto di nuove opportunità. Siate flessibili e conquisterete il mondo…

Ora, però, stiamo raccogliendo i cocci: la classe media sempre più ristretta e impoverita, quella operaia abbandonata a se stessa e con tantissimi diritti in meno, e i ricchi sempre più ricchi. La famosa scala sociale è ormai ridotta senza pioli…

Certamente, c’è da non sottovalutare che nel famoso paniere un tempo c’erano quelli che comunemente chiamiamo beni essenziali ed oggi abbiamo telefonino e monopattino elettrico e qualche domanda bisognerà pur porsela in tal senso, ma è altrettanto innegabile che ormai accettiamo comunemente di poter mangiare comodamente a casa il nostro cibo, pagando meno della metà di quello che pagheremmo al ristorante, grazie al “lavoro” dello sfruttato di turno, che deve attraversare in bici la città in un tempo che farebbe invidia anche ad un partecipante al Giro d’Italia.

Anche in questo caso qualche domanda sarebbe ben accetta, ma gradiremmo molto soprattutto le risposte, da parte di chi la sera precedente ha mangiato il sushi sul divano di casa e il giorno dopo tempesta i profili social con fulmini e saette per la poca attenzione della politica alla propria condizione di dipendente sottopagato o di partita IVA.

Chi avrebbe mai immaginato di vedere le organizzazioni delle quali fino a poco tempo fa leggevamo l’impegno negli scenari di guerra o di estrema povertà, svolgere il proprio lavoro all’angolo di casa nostra, oppure leggere di intere fasce della popolazione che non hanno più accesso alle cure mediche, nonostante si goda ancora di una sanità pubblica. Non è possibile immaginare un futuro senza la garanzia di tali diritti per tutti.

Ma la sensazione è che sia stia facendo di tutto perché il famoso piano inclinato lo sia sempre di più e che ciò accada per una sempre minore consapevolezza del proprio ruolo politico nella società che viviamo. Le criticità evidenziate e la maggiore penetrazione del pensiero unico nel nostro vivere non fanno altro che sguazzare nel nostro menefreghismo o nel nostro pensarci migliori solo per la possibilità di postare sui social le nostre critiche al sistema.

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