Coronavirus, la paura sfuma laddove inizia la violenza verbale

Lo scontro dialettico a cui assistiamo nelle ultime settimane ci riporta alla mente quei conflitti di natura medievale che ritenevamo sopiti da secoli. Un ritorno repentino e violento all’età dei comuni. La singolar tenzone dei governatori di Regione coinvolge praticamente tutti: Fontana segue ad litteram le volubilità di padron Salvini, Zaia – corroborato dalla buona tenuta del Veneto – si professa dispensatore di consigli super partes, Toti bofonchia qualcosa che alle nostre orecchie – per quanto vogliamo impegnarci – suona tanto scialbo quanto incomprensibile, Cirio – sommessamente – non sa quali pesci pigliare e De Luca – nel frattempo – ha assunto pieni poteri associati al diritto di vita, di gogna e di morte sui propri sudditi.

Il governo centrale deve impegnarsi per tenere a bada gli umori dei vassalli: a volte assecondandoli, altre volte pure. Prende vita in maniera paradossale, mai accaduto dal ’70 ad oggi, una sorta di decentramento decisionale dei poteri. Vero è che, considerata l’ormai arcinota legge 833/1978, i presidenti di regione possono attuare – per cause di forza maggiore – normative utili ad organizzare il presidio territoriale in situazione di emergenza. Bisogna però stabilire, in seno al fluire dei provvedimenti, se l’effettiva validità è prestata al bene collettivo o ad una costante ubriacatura che porta alla gestione totalitaria della cosa pubblica. Droni, elicotteri e divise: sembra il Vietnam ma senza vietcong e foreste pluviali. La militarizzazione, lo sfoggio di una deterrenza applicata per strade e spiagge – in modo da colpire i passeggiatori seriali – sulle tasche di chi graverà? Elicotteri, moto d’acqua e quad sono alimentati ad acqua di mare? Difficile immaginarlo, in quel caso avremmo risolto l’annoso problema dell’eco-sostenibilità.

Estremizzando il concetto del “tutti a casa” non pienamente recepito, è doveroso ricordare che il DNA degli italiani, quando rapportato a misure drastiche, si suddivide in tre elementi fondamentali: il prono consenso, il dissenso assenso, la riottosità dura e pura. Un governatore “X” detta, il caos interpretativo regna, il cittadino medio non sa dove sbattere la testa. Difficile, pertanto, sancire la giusta natura del provvedimento: dettato da un’esigenza reale o da un prossimo tornaconto elettorale? Eh, già. Dubbio legittimo se aggiungiamo che, a pandemia terminata, numerose regioni vedranno nelle urne il dipanarsi del proprio destino.

Le diverse tipologie di linguaggio adottate denotano vastissimi scenari di geografia comportamentale: ogni governatore è una maschera, una caratterizzazione dell’estremo e indossa la veste che più lo rappresenta. Fontana finge la sicurezza propria di chi – sotto sotto ma neanche tanto – non è per nulla preparato agli eventi, Zaia dà piena contezza di quella boria leghista fomentata da una presunta superiorità auto-assegnatasi, Toti è il quadro spiccicato di chi agisce alla “sanfason“, Cirio ha i tratti di chi passava lì per caso e De Luca? Beh! Sulle gesta dello sceriffo si potrebbe scrivere un trattato completo. Trent’anni di dirette televisive urbi et orbi senza contraddittorio alcuno, il livore verbale di chi ha intenzione di lasciare il segno sull’immaginario del volgo. Iperbole retorica utile a dirottare il senso critico dell’uditorio, è così che la gestione sanitaria diventa questione secondaria, quasi irrilevante. La minaccia di emettere un provvedimento che disponga la chiusura dei confini nei confronti di chi proviene dal nord è solo l’ultima fra tante. In effetti, per farsi un’idea, basta soffermarsi sul frame di video immediatamente successivo alla dichiarazione per accorgersi che l’espressione facciale di De Luca denota il sentimento contrito di chi l’ha appena sparata grossa. Nulla di nuovo, solita condotta: dissimulare ed enfatizzare per incutere timore e obbedienza. Il governatore, quasi compiaciuto, promette il pugno duro. Il lanciafiamme per intenderci, intanto l’utente medio cosa raccoglie? Null’altro se non la volontà di emularne le gesta piazzando il carico da 11 fra i commenti di un social-network qualsiasi. Accade così che, alla fine dei giochi, giustizialismo faccia rima con gargarismo. Accade così che (nomi e professioni sono semplici esempi inventati) Concetta e Salvatore, noti ai più per la sciacquatura tazzine di un bar di provincia, indossino i furenti panni da Torquemada della rete. Accade così che Ubaldo e Rosina, indefessi raccoglitori di castagne dell’entroterra, pensino sia legittimo destinare alla forca chi infrange la legge. Dura lex sed lex, la tradizione giuridica parla chiaro ed è giusto che sia così. Ma non sarebbe meglio moderare i toni, veicolare i concetti in altro modo ed evitare di sdoganare quelle intime vocazioni da Sant’Uffizio che covano sotto le ceneri di un terrificante disagio sociale?

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