Una “grande potenza di fuoco”, parole, pensieri e opere del premier Conte. Al termine di un interminabile Consiglio dei Ministri – tenutosi nella giornata del 6 aprile – è stato varato il decreto liquidità, la misura prevede benefici destinati sia al mercato interno sia all’export, in totale saranno 400 i miliardi destinati alle imprese. Stavolta la montagna non ha partorito un innocuo e risibile topolino, piuttosto una manna dal cielo per il sistema produttivo di un paese che – come si usa dire alle nostre latitudini – si trova nella nefasta condizione del “muro a muro con l’ospedale”. Tempo di agire, sono state stanziate misure economiche di poderosa portata. Mai erogata, nella lunga traversata della nostra Repubblica, una cifra del genere finalizzata ad aiutare le imprese. Lo Stato, nella primavera glaciale delle nuove consapevolezze, continua a dar prova di grande presenza e lo fa con costanza e coerenza. Al netto di qualche imprecisione iniziale, comprensibile se rapportata a due fattori ben precisi: l’approccio morbido con cui la maggior parte dei governanti del mondo si è rapportata al Covid-19, quell’istinto di conservazione e sottovalutazione che si adotta, di solito, nei confronti di una crisi – in questo caso epidemiologica – ritenuta lontana dai confini nazionali.
La declinazione del verbo sottovalutare e – in seguito – scaricare colpe e barili adottata dal governatore Fontana, invece, non gode di piena giustificazione. Il presidente della Lombardia, sul cui capo c’è ora la lente di ingrandimento del governo centrale e – fra qualche mese – quella di un bacino elettorale che tutto sopporta e nulla perdona, ha tergiversato nelle prime battute dell’epidemia. La colpa principale – ascrivibile agli inizi di marzo – è quella di aver atteso disposizioni governative per espandere la zona rossa – già dichiarata nel lodigiano – ai comuni del bergamasco. Ampliamento che, stando alla legge 833/1978, era possibile stabilire a prescindere dall’avallo del governo, in quanto gli apparati regionali sono tenuti ad agire in perfetta autonomia quando a tenere banco sono questioni di materia igienico-sanitaria. Nel complesso un’attesa forzata e infelice, piegata alle logiche della disfida politica, che ha contribuito ad accrescere il ritardo dei primi interventi, generando quella serie iniziale di contagi che, con maggior tempestività, sarebbe stato possibile contenere. Piove sul bagnato per la regione governata dal carroccio, nelle ultime ore trova spazio lo scandalo delle Rsa (residenze sanitarie assistenziali). La procura di Milano indaga sulla base della delibera regionale XI/2906 dell’8 marzo, delibera emanata per snellire le corsie degli ospedali – all’epoca dei fatti in forte crisi – allestendo posti letto per pazienti affetti da Covid a “bassa intensità” all’interno delle case di riposo. Effetto collaterale non calcolato – ma, col senno di poi, ovvio – è il vertiginoso aumento degli anziani deceduti. Struttura capofila il Pio Albergo Trivulzio (agli onori della cronaca nel febbraio ’92, anno in cui una tangente di Chiesa produsse l’onda lunga di Tangentopoli e la morte della Prima Repubblica) che conta, nel solo mese di marzo, ben 70 morti. Si tratta dell’ennesima gatta da pelare per Fontana che, da ora in poi, più che guardare la pagliuzza nell’occhio del vicino dovrà vedersi bene della trave che lo crocifigge all’altare del malgoverno.
Intanto, da più parti, si recita l’eterno riposo. Riferito soprattutto ai neuroni. Si, il prode Salvini dopo aver vestito i panni del sacrestano di provincia, ora indossa addirittura l’abito talare. Risale ad appena una settimana fa la preghierina live al fianco della pia Barbara al lume dei sacri riflettori Mediaset – rete che, colpevole di un ventennio di sciocchezze propinate a cena, ora inscena una serrata campagna pubblicitaria contro le fake news – ma ora Matteo fa sul serio, invoca l’apertura delle chiese per Pasqua. Sponda accolta e rilanciata (fra minus ci si intende) da un gruppo di militanti di estrema destra, si tratta dei rampolli di Forza Nuova – partito base per le teste rasate sintonizzate tardivamente sull’ottobre del ’22 – che annunciano – “Altra domenica agli arresti domiciliari, altra domenica di quarantena, altra domenica senza messa. Altra domenica surreale, senza futuro e senza Dio. Per questo lanciamo per la domenica di Pasqua una mobilitazione a Roma, una processione fino a piazza San Pietro, contro gli arresti di massa, contro la quarantena, contro i divieti. Una mobilitazione per la libertà, per tornare a lavorare, per tornare a Messa, per tornare a vivere”. Azione dimostrativa dai tratti surreali, la cocciuta inadempienza delle norme igienico-sanitarie di base potrebbe porli alla mercé di un virus che, a differenza loro, si è dimostrato ben più democratico.
La situazione è in divenire ma tutt’altro che rosea, le morti bianche non sono più triste pane quotidiano dei cantieri – per il momento – ma delle corsie d’ospedale. Il novero dei medici affetti da Covid-19 è spaventoso, si rimpolpano i ranghi – purtroppo – di una “danza macabra” che coinvolge chi ha recitato il giuramento di Ippocrate. Eroi moderni senza macchia e senza paura, senza destriero affidabile né – fino a qualche tempo fa – dispositivi di protezione adeguati. Il numero dei contagi, considerando il campanile delle 18.00, sembra aver scollinato il picco. Ci si avvia, a passo ancora malfermo, verso quella discesa forzata sintetizzabile nella “fase 2“. Un complesso di riaperture parziali accompagnate, però, dalla permanenza di un distanziamento sociale con cui dovremo dividere sonno e abitudini per un numero ancora indecifrato – ma, a naso, corposo – di mesi.