A Palazzo Madama è stato cassato dalla manovra l’emendamento sulla cannabis light, ritenuto dalla presidente Elisabetta Alberti Casellati “tecnicamente inammissibile” e quindi impossibile da inserire in un comma della legge di Bilancio. L’emendamento consentiva la vendita di cannabis light, prevedendo tassazione e limite massimo di principio attivo contenuto (0,5%). Sostenuto da Pd, M5s e Leu, ha subito la feroce opposizione della destra a colpi di distorsioni e urla in aula. La facile quanto imbarazzante equazione, cannabis light = droga di Stato, si è gonfiata fino a degenerare in uno spettacolo pietoso: le fazioni sovraniste si sono scatenate dando sfogo a un linguaggio triviale e offensivo, gridando allo scandalo come se Roma stesse per diventare la capitale dello sballo e della perdizione, attraversata come per magia da canali e pullulante di coffee shop e turisti allucinati. È questo il messaggio che si è tentato di propagare, approfittando del nome cannabis (poiché si ricava dalla stessa pianta che può diventare marijuana) per montare l’ennesima strumentalizzazione.
La discussione e l’emendamento vertevano invece sull’autorizzazione al commercio di “canapa a basso contenuto di tetraidrocannabinolo”, definito da autorevoli farmacologi “una tisana potente, una camomilla molto forte, un infuso di erbe particolarmente calmante”. Con una percentuale cinquanta volte inferiore della sostanza che provoca euforia e altera le percezioni spazio-temporali, e con una dose notevolmente più alta di cannabidiolo, che ha invece effetti estremamente rilassanti e aiuta a combattere ansia e panico. L’esatto contrario delle droghe. La cannabis light, in pratica, sembra avere una sola controindicazione: la propaganda della destra.
Dunque, per il momento fallisce il tentativo del legislatore di mettere ordine al vuoto normativo. Si resta impantanati nelle motivazioni della sentenza di giugno delle Sezioni Riunite della Cassazione sulla rilevanza penale della commercializzazione di prodotti derivati dalla Cannabis Sativa. “Non vale la legge sulla coltivazione per la commercializzazione di prodotti a base di cannabis sativa, in particolare foglie, infiorescenze, olio, resina, ma vige il testo delle droghe (Dpr 309/90)”. Vendere derivati della cannabis sativa è dunque illegale. Così la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza, aveva affermato che il commercio di questi prodotti rientra nella fattispecie di reato contenuta nel Testo unico sugli stupefacenti, che incrimina la commercializzazione di foglie, inflorescenze, olio e resina, derivati della cannabis, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante. E proprio quest’ultimo passaggio aveva disseminato perplessità sulle motivazioni della sentenza. La cannabis light poteva essere venduta proprio perché conteneva una quantità più bassa di principio attivo di quello previsto dalle tabelle degli stupefacenti, le stesse che determinano le quantità minime per classificare la sostanza come droga o meno. Ma proprio la Cassazione, le cui sezioni avevano affrontato più volte, ed esprimendo pareri differenti, casi di vendita di cannabis light, in precedenza aveva individuato nella concentrazione inferiore allo 0,5% di thc le percentuali al cospetto delle quali non si è in presenza di capacità drogante.
La vicenda determinerà contraccolpi pesanti anche sul fronte della lotta alla criminalità organizzata, con un mercato nero regalato alle mafie e alle piazze di spaccio. Un incremento che riguarderà le sostanze davvero stupefacenti. Senza contare che la canapa rappresenta un’autentica risorsa per molti settori: tessile, edile, farmaceutico, cosmetico. Gli investitori, non facoltosi banchieri ma piccoli imprenditori con alle spalle i risparmi di famiglia, per lo più giovani, aspettavano questo provvedimento per poter aumentare la vendita di fiori, in grado di finanziare investimenti sul resto dei prodotti della pianta, per i quali è necessaria la creazione di impianti di trasformazione, che al momento non ci sono. Molti shop non saranno in grado di reggere il trauma di controlli e sequestri e sono destinati a chiudere. A Salerno e provincia ha già calato definitivamente le saracinesche la stragrande maggioranza delle attività commerciali del settore. La Sentenza prima e l’ostilità politica e culturale dei rigurgiti illiberali poi, hanno causato la profonda crisi del settore dal momento della sua esplosione a oggi. Un fardello che si è abbattuto su un settore pronto a creare sviluppo e ad alleviare le pene sociali in un momento di radicale trasformazione della società. Poco o nulla è rimasto dell’incredibile espansione degli ultimi anni: 15.000 addetti, dalla produzione alla commercializzazione, 4.000 ettari di terreno coltivati, circa 3.000 aziende agricole, tutte associate a Coldiretti, Cia e Confagricoltura. E poi, oltre 1.000 shop in tutta Italia, autorizzati dalle amministrazioni pubbliche, con partita Iva e registratori di cassa, per un giro d’affari complessivo calcolato intorno ai 150 milioni di euro, se non addirittura maggiore. Le prime ripercussioni riguardano gli investimenti. La Canapair, sussidiaria italiana del gruppo canadese Canopy Growth, ha già annunciato il rischio del blocco dei futuri investimenti e la possibilità che l’azienda si concentri sulle proprie filiali in Bulgaria, invece che in Sicilia. Secondo quanto riportato dalle pagine de “Il Sole 24 Ore” l’azienda ha già investito in Italia 17 milioni di euro dando lavoro a 54 aziende agricole, e il piano prevedeva nuove assunzioni. Ma in assenza di un quadro regolatorio certo, l’azienda sta ripiegando sulle proprie società bulgare.
Senza contare gli effetti sull’ambiente e sulla sostenibilità, di cui la cannabis è una delle migliori alleate. Dalla canapa si possono ricavare fibre e carburanti, alimenti e cosmetici prodotti, semilavorati come fibra, canapulo, polveri, cippato e una lunga serie di altri materiali. Ed è destinata a sostituire l’utilizzo del cotone (le cui monocolture intensive rendono poi sterile il suolo) nel tessile.
La crociata delle destre regressive viaggia in direzione opposta rispetto alla richieste poste alla politica: porre rimedio ai vuoti normativi, occuparsi concretamente della risoluzione di casi controversi che frenano l’economia, la sostenibilità. Che rallentano modelli di sviluppo e processi culturali. La politica fino a questo momento è stata solo in grado solo di speculare sulla molteplicità dei bisogni reali. L’efficacia drogante della propaganda, il vero stupefacente in circolo, testimonia quanto sia diventato tossico il nostro Paese.