“Il modello della scuola è fondamentale e non può essere frammentato, i governatori non avranno tutto quello che hanno chiesto. Ma ci sta, è un negoziato tra Stato e regioni. Continuerò all’inizio della settimana prossima con incontri ristretti. Un nodo politico è rimasto ed è quello dei beni culturali”. Con questa dichiarazione, il premier Conte, al termine del breve vertice di maggioranza (durato meno di un’ora) in cui è passata la linea del M5s sull’istruzione, ha chiuso a un’eventuale ulteriore proposta di regionalizzazione della scuola come chiesto dalla Lega con l’articolo 12 del testo Stefani, che prevedeva l’assunzione diretta dei docenti su base regionale, con contratti e stipendi su base regionale e programmi scolastici diversi, ora soppresso. In merito al provvedimento, nelle scorse riunione era anche stato rilevato anche un profilo di incostituzionalità sulla base della sentenza della Corte Costituzionale 76/2013 (redatta allora da Sergio Mattarella). Il personale della scuola è escluso quindi dalla regionalizzazione, e non ne viene toccato in nessun modo. “L’articolo 12 è stato soppresso: è una vittoria dei 5 stelle e una vittoria della scuola italiana. Il sistema di istruzione rimane unitario; nessun trasferimento di risorse dallo Stato alle regioni con riferimento all’istruzione”, esultano dal Movimento 5 Stelle. Esprimono disappunto, invece, i governatori del Nord, capeggiati da Luca Zaia, presidente del Veneto: “Siamo cinque milioni di veneti e 150 miliardi di PIl. Ne abbiamo le tasche piene di pagare per vedere gente sprecare. La finiscano di parlare di unità nazionale, secessione dei ricchi, paesi di serie A o B. Vogliamo solo che i virtuosi siano premiati”.
Nonostante l’indirizzo imboccato per l’istruzione, il testo sulle autonomie procede spedito, ulteriori passi avanti si registrano su sanità, ambiente, sviluppo economico, materie per le quali sono state accolte le richieste delle regioni. Il provvedimento arriverà presto in Consiglio dei Ministri, annuncia Conte. “L’autonomia funziona però se c’è quella finanziaria. Non accetteremo nessun compromesso”, è il passaggio del discorso di Conte che, più di tutti, delinea le volontà di una parte di maggioranza, in antitesi con gli obiettivi del fronte del Nord. E infatti l’articolo 5, quello in cui si affronta il tema delle risorse, finisce accantonato nonostante il pressing leghista. Zaia e Fontana considerano l’intero pacchetto delle materie sull’autonomia in stretta connessione con soluzioni finanziare in grado di premiare l’efficienza delle regioni. La partita si gioca sulle risorse, e i governatori, nonché il partito d’appartenza, non accetteranno ulteriori compromessi al ribasso. A cominciare dalla conferma dell’articolo sulle risorse finanziarie contenuto nei progetti di autonomia e disponibili sul portale del Dipartimento per gli affari regionali: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna incasserebbero comunque, in prospettiva, circa tre miliardi di euro in più all’anno, di cui 1,4 miliardi proprio per l’istruzione. Anche se, in quest’ultimo caso, si tratterebbe di risorse da destinare unicamente all’edilizia scolastica e all’alternanza scuola-lavoro. Un’operazione che non potrà produrre nuove voragini nei bilanci dello Stato e nemmeno gravare sulla pressione fiscale. Di conseguenza, le risorse aggiuntive di cui godrebbero le regioni del Nord sarebbero sottratte alle altre regioni. E non a caso è proprio la Corte dei Conti a lanciare l’allarme: “Sulle altre regioni potrebbe ricadere l’onere di un finanziamento non equilibrato”. Esaminando il disegno leghista, emerge anche un discorso legato al fabbisogno standard, ossia le spese da sostenere in condizioni di efficienza e su cui calibrare le risorse. La bozza prevede la possibilità per le regioni del Nord di spendere per ciascun loro abitante non meno della spesa media pro-capite nazionale. Che, nella fattispecie, è superiore in tutte le materie, compresa l’istruzione. Al fronte del Nord spetteranno così risorse maggiori, a danno di tutti gli altri.