Venerdì di passione per l’esecutivo guidato dal premier Conte, ennesimo DPCM varato, ennesimo caos interpretativo da parte di chi, per diletto, aizza polveroni: da un lato la confermata proroga delle restrizioni fino al 3 maggio, dall’altro il compromesso concordato su determinate funzioni del Mes in sede europea. Binomio di eventi che, oltre a provocare immotivate ire populiste (qualcuno ritiene che il governo goda nell’imporre chiusure), ha già avviato la fucina dei veleni di un fronte sovranista in spasmodica attesa di brindare allo scivolone avversario.
L’Eurogruppo – mai così sollecitato come nelle ultime settimane – ha proposto accordi congiunti sulle modalità di ripresa finanziaria da attuare in calce al collasso economico-sanitario determinato dalla pandemia. Quattro gli strumenti oggetto di considerazione per i ministri impegnati in videoconferenza: i prestiti – liberi da condizionalità – del Mes garantiti agli stati, gli ausili del Bei (Banca europea degli investimenti), il supporto alla cassa integrazione nazionale (Sure), la creazione di un fondo finanziato da obbligazioni congiunte proposto dalla Francia (Recovery fund) per catalizzare gli effetti della risalita. Le proposte, inviate al Consiglio europeo, sono in attesa di valutazione per poi essere approvate, in ultima istanza, dai parlamenti degli stati membri. Partono dunque i negoziati, la partita si sposta su altri tavoli e vedrà, presumibilmente, il fischio di inizio il prossimo 23 aprile (data in cui il Consiglio europeo si riunirà per discutere). Le speranze di un’Europa migliore si coaguleranno col trionfo di un rinnovato sentire solidaristico. Unione e ripartenza che annullino – quantomeno parzialmente – le distanze economiche fra le forze in campo.
Quel che è certo, al momento, è l’inappropriato utilizzo della propaganda da parte di FDI e Lega – al solito abilissimi nel disinformare fomentando brontolii populisti – nel diffondere notizie di una presunta attivazione del Meccanismo europeo di stabilità nella stessa misura in cui fu firmato, nel “lontano” 2011, dall’allora Ministro delle Finanze Giulio Tremonti (appartenente alla squadra di Governo Berlusconi IV di cui, guarda caso, facevano parte un anti-meridionalista convinto di nome Matteo Salvini ed una Giorgia Meloni meno battagliera di oggi). Di acqua sotto i ponti ne è passata e, sebbene il collasso attuale non sia paragonabile alle ceneri di un 2008 griffato Goldman Sachs, occorre specificare che il Fondo salva Stati attualmente indossa una nuova veste. Le modifiche sostanziali previste riguardano l’utilizzo del Mes in maniera flessibile, è stata infatti varata una “Pandemic credit line“, una nuova linea di credito di cui ogni Paese potrà usufruire – richiedendo fino al 2% del PIL – per coprire le spese sanitarie dirette e indirette correlate agli interventi utili a contenere il Covid-19.
“Alto tradimento”, “Paese svenduto”. Questa l’enciclopedia – trita e ritrita – dei toni insurrezionali veicolati dai soliti noti. Il farfugliare caotico lanciato a mezzo “tweet”, estrema sintesi di un andamento continuo e monocorde, un pendolo oscillante fra “bile” e “arroganza”. Il leit motiv degli ultimi tempi invalida gli sterminati sentieri dell’umana ragione. E così, chi lavora gomito a gomito con i rappresentanti del conservatorismo europeo, risulta spaesato e sgomento nel momento in cui si imbatte nel ventilato anti-internazionalismo – il più classico dei segreti di Pulcinella – dei propri colleghi. La repulsa degli Eurobond (in soldoni la condivisione del debito pubblico), del resto, proviene da uno dei leader della destra olandese, quel Thierry Baudet a lungo omaggiato – con tanto di foto celebrativa – dalla stessa Meloni. Il paradosso abbraccia le teorie dei sovranisti di casa nostra, immemori forse che il principio base di ogni nazionalismo è la tutela dei propri interessi. Dottrina cardine imbrigliata a un punto di vista utilitaristico che reprime e respinge tutto quel che spira al di là dei confini territoriali.
Nonostante ciò, il mantice delle opposizioni è all’opera. Alimenta le fiamme mettendo in moto quel gioco al massacro dettato da chi scredita a prescindere le operazioni di un governo – a costo di ripeterlo fino alla noia – alle prese con una crisi epidemiologica mai avvenuta in precedenza. Venti destabilizzanti soffiano e spingono sul ciglio del crepaccio il profilo di nazioni che, fino a qualche tempo fa, erano ritenute esempi “virtuosi”. Anche la superpotenza d’oltreoceano – scudisciata da una guerra senza armi – conferisce alle fosse comuni centinaia di cittadini americani. L’economia degli U.S.A. accarezza i fantasmi della recessione, Wall Street lambisce il profondo rosso avviandosi verso percentuali di disoccupazione non molto lontane da quelle registrate al tempo degli strascichi dovuti al nero ottobre del ’29.
Il maggese del malessere non conosce tregua, le tensioni si acuiscono di pari passo con l’inettitudine di chi prefigura un’Italia svincolata dall’Euro. Senza calcolare che – sulla scia delle memorie di Weimar – una confezione di lievito di birra (tanto per onorare le vocazioni impastatrici di noi italiani) potrebbe costare oltre due miliardi delle vecchie lire. Sarebbe bello – a tratti divertente – imbattersi in carriole stracariche di banconote atte a far rispettare le distanze anti-contagio nei piazzali dei supermercati. Ulteriore inettitudine muove chi pretende, ad esempio, le scuse da parte del governo tedesco per un titolo del “Die Welt”. Cascando dal pero delle ingenuità, dimenticando di appartenere a quel lembo di mondo che ingrossa – volutamente o meno – gli argini delle mafie. Ridicolo pretendere il dietrofront altrui senza curarsi delle ingiurie promosse, rotocalco per rotocalco, dalle colonne di “Libero”. Quotidiano gestito da individui che definire border line è il più carino dei complimenti. Una fra tante l’apertura di qualche tempo fa: “La culona si è sgonfiata”. Con tanto di foto posta a sottolineare il fondoschiena di Angela Merkel intenta a salire una rampa di scale. Titolo sessista e inadeguato, adatto alla parete del bagno di una scuola media di provincia, indubbiamente il punto più basso del giornalismo italiano. Varrebbe la pena riesumare l’art. 28 dello Statuto Albertino, sottrarlo alla polvere del tempo e della Storia per farglielo ingurgitare. Effetti collaterali di una libertà di stampa che, col senno di poi, non andava destinata proprio a tutti.
Il sonno eterno di Gutenberg procede, magari meno sereno di un tempo. Inquieto e turbinante dal suo sepolcro di oltre 550 primavere. Intanto noi, schiavi cardiaci di inchiostro e verità, proviamo a tirare avanti. Perplessi ma vivi.