Dalla ridente Maiori, Vincenzo Abate, oltre dieci anni fa, ha deciso di intraprendere la sua carriera artistica, dapprima in giro per l’Europa e poi trasferendosi definitivamente a Friburgo, in Svizzera.
Uomo versatile ed estremamente colto, il giovane conterraneo ha da subito manifestato una particolare sensibilità nei riguardi della molteplicità della vita, ammirandola e definendola come un’orchestra in continua esecuzione.
“Nel 2008, ho deciso di intraprendere un nuovo percorso di vita, svolgendo per due anni la mia attività artistica – ha raccontato Vincenzo –Sono stato prima a Berlino e poi mi sono trasferito in Svizzera. Dopo un po’ di tempo, ho dato vita ad uno spazio indipendente, adibito per l’allestimento di mostre, dal nome Pah Project, di cui ho curato soprattutto l’aspetto produttivo. Per portare avanti questo discorso, però, è stato necessario, in parallelo, concentrarmi su un altro proposito. Ecco, che ho deciso di produrre pasta artigianale, lavorata con cereali di primissima qualità, come ad esempio con la farina di farro. Il progetto ha preso il nome di Pasta Project di cui una parte del ricavato finanziava, allora, anche l’attività espositiva delle opere d’arte presenti in galleria. Per circa tre anni, mi sono mosso in questo modo, fin quando la mera espressione artistica – sempre viva dentro di me – si è trasformata lentamente in un’utopia”.
“Pastabate” è diventato un progetto sempre di più esigente e presente nella vita del poliedrico Abate che probabilmente ha semplicemente reinvestito la sua innata natura artistica, attraverso una forma semplicemente nuova ma ugualmente sperimentale e che ha richiesto grande inventiva, dedizione e determinazione.
Per i restanti 7 anni e fino a poco tempo fa, il giovane maiorese, ha continuato ad immergersi nel dualismo artistico, affiancando alla professione artigianale, il mondo scolastico, in veste quindi, di Professore part time di arti visive, alle superiori; un sistema educativo completamente diverso rispetto a quello italiano, che si contraddistingue sicuramente per l’efficienza ma che si basa su un sistema di selezione per il mondo professionale molto esigente, sin dalle scuole medie.
Giungendo lentamente ai giorni più sofferti del 2020, ossia a quelli legati all’emergenza Coronavirus, la situazione svizzera è precipitata in modo analogo a quella nostrana, con una differenza di pochi giorni. Ci troviamo a ridosso della seconda settimana di marzo, quando anche in Svizzera è scattata l’emergenza: tutti i 26 cantoni sono diventati zona rossa. Molti sono stati i casi di Covid- 19, soprattutto in Ticino, luogo vissuto quotidianamente dai tanti frontalieri che dalla Lombardia, ogni mattina, giungono nel cantone italiano dello Stato federale.
In che modo è stata disposta l’emergenza in Svizzera? Quali sono state le direttive preposte dal Consiglio federale?
L’emergenza è partita con un invito a rimanere nelle proprie abitazioni. Non ci sono stati toni intimidatori, o terrore psicologico, in quanto la cittadinanza ha un senso civile molto spiccato. Dopo un’ ora dalla scelta comune intrapresa dai membri del Consiglio, ogni cittadino si è chiuso in casa. Ci sono stati casi in cui si è corsi al supermercato – tutt’ al più per rifornire i tanti bunker anti atomici – ma solo in minima parte. Fondamentale è pensare di dover lavorare, anche a distanza per quanto riguarda la scuola ad esempio, attraverso la didattica a distanza, per cui anche noi come per gli italiani, non ne eravamo ancora del tutto pronti.
Quali sono stati gli sviluppi della filiera agro- alimentare? In che modo hai fronteggiato l’emergenza Coronavirus?
Con l’incremento dei contagi, hanno chiuso il mercato di Fribrugo, luogo in cui io stesso vendo i miei prodotti artigianali; il mercato di Friburgo, è un posto molto ricercato, in cui si tende a premiare la qualità biologica del cibo. Personalmente, sono consigliere della città e Presidente di un’associazione composta dai produttori alimentari e artigiani. La sera in cui si è deciso di chiudere il mercato, dovevo comunicarlo agli altri membri. Lo sgomento di tutti è stato molto forte, perché non si può di sicuro pensare che una fattoria, ad esempio, si arresti e non produca. Abbiamo, quindi, trovato una soluzione simultanea che ci ha spinto sin da subito a reagire con coscienza e determinazione. Abbiamo aperto nel giro di poche ore, il sito internet Freiburg market.ch, creando quattro punti di distribuzione nella città. Il cliente ordina sul sito e ritira i prodotti selezionati, presso la sede alternativa. Ad esempio, come punto di raccolta è stato adoperato un ristorante chiuso a causa dell’emergenza. In questo modo si è cercato di preservare il rapporto umano con il cliente che non è obbligato necessariamente a recarsi al supermercato per approvvigionarsi; il cliente in questo modo, ha ancora la possibilità di scegliere cosa mangiare e di preservare quindi la natura.
Uno dei motivi per cui lavoriamo tanto, è legato al fatto che le persone sono a conoscenza dei nostri valori di selezione e di produzione. Il momento emergenziale, ci impone di riflettere sul motivo per cui stiamo vivendo in un sistema molto fragile, in cui siamo giunti al paradosso di non poter scegliere cosa mettere in tavola. Il volano di questa rivoluzione in fase emergenziale, sono stati i cittadini che ancor più di prima, hanno preso coscienza. Siamo grati della loro solidarietà che è stata così sentita al tal punto da incentivare mance, promuovere in anticipo acquisti futuri. E’ stato un fulmine a ciel sereno anche per noi produttori: l’ordine online smuove tipologie di vendita completamente diverse a quelle tradizionali. Una volta venduti i prodotti al mercato, torniamo tutti semplicemente a casa. Ora è come se si dovesse ripensare ad un magazzino sempre in aggiornamento, viste le elevate richieste di ordini. A breve, inoltre, verranno disposte nuove regole per riaggiornare il mercato di Friburgo che verrà disposto in giro per la città. Purtroppo non tutti i miei colleghi riusciranno a rientrare nell’iniziativa e molti di noi sono rammaricati anche perché avevamo trovato un vero e proprio equilibrio con il sito appena nato.
Qual è dal tuo punto di vista, la differenza tra la reazione italiana e quella svizzera rispetto al Coronavirus?
Ho molto rispetto per quanto stia accadendo in Italia, per tutti i familiari e gli amici che mi raccontano. In Italia paradossalmente è come se avessero subito di più e quindi di conseguenza, è come se si fosse reagito di meno. È sicuramente differente la situazione dei contagi e quella legata alle crepe della sanità italiana, però ripeto, il mio è un invito a rimettersi in gioco. Noi in poco tempo, abbiamo creato un’ alternativa. E’ pur vero che i cantoni sono stati tutti molti coerenti e uniti sin da subito e soprattutto – dal principio – oltre alla straordinaria solidarietà della nostra clientela, si è cercato di tutelare molto i piccoli imprenditori. Qui si pensa prima al più debole, perché è questo il cuore pulsante dell’economia. Il vero sbaglio globale è stato quello di essere arrivati troppo tardi, quando c’erano in giro già troppi contagiati. Nonostante ciò in Svizzera, siamo tutti più rilassati: non c’è panico. Ripeto le istituzioni, ci hanno invitato nell’essere più responsabili, senza – almeno fin’ora – imporci di metterci le mascherine, usate soprattutto per i casi limite. Il 27 aprile apriranno gli asili nido, a maggio le restanti scuole e a giugno i ristoranti, rispettando con diligenza le distanze di sicurezza e le regole igieniche basilari.
Poi Abate aggiunge: “Anche con i bambini abbiamo cercato di non incutere in loro il panico, leggendo le rime di Roberto Piumini, considerato l’erede di Gianni Rodari”.
Che cos’è che in aria vola?
C’è qualcosa che non so?
Come mai non si va a scuola?
Ora ne parliamo un po’.
Virus porta la corona,
ma di certo non è un re,
e nemmeno una persona:
ma allora, che cos’è?
È un tipaccio piccolino,
così piccolo che proprio,
per vederlo da vicino,
devi avere il microscopio.
È un tipetto velenoso,
che mai fermo se ne sta:
invadente e dispettoso,
vuol andarsene qua e là.
È invisibile e leggero
e, pericolosamente,
microscopico guerriero,
vuole entrare nella gente.
Ma la gente siamo noi,
io, te, e tutte le persone:
ma io posso, e anche tu puoi,
lasciar fuori quel briccone.
Se ti scappa uno starnuto,
starnutisci nel tuo braccio:
stoppa il volo di quel bruto:
tu lo fai, e anch’io lo faccio.
Quando esci, appena torni,
va’ a lavare le tue mani:
ogni volta, tutti i giorni,
non solo oggi, anche domani.
Lava con acqua e sapone,
lava a lungo, e con cura,
e così, se c’ è, il birbone
va giù con la sciacquatura.
Non toccare, con le dita,
la tua bocca, il naso, gli occhi:
non che sia cosa proibita,
però è meglio che non tocchi.
Quando incontri della gente,
rimanete un po’ lontani:
si può stare allegramente
senza stringersi le mani.
Baci e abbracci? Non li dare:
finché è in giro quel tipaccio,
è prudente rimandare
ogni bacio e ogni abbraccio.
C’è qualcuno mascherato,
ma non è per Carnevale,
e non è un bandito armato
che ti vuol fare del male.
È una maschera gentile
per filtrare il suo respiro:
perché quel tipaccio vile
se ne vada meno in giro.
E fin quando quel tipaccio
se ne va, dannoso, in giro,
caro amico, sai che faccio?
io in casa mi ritiro.
È un’ idea straordinaria,
dato che è chiusa la scuola,
fino a che, fuori, nell’aria,
quel tipaccio gira e vola.
E gli amici, e i parenti?
Anche in casa, stando fermo,
tu li vedi e li senti:
state insieme sullo schermo.
Chi si vuole bene, può
mantenere una distanza:
baci e abbracci adesso no,
ma parole in abbondanza.
Le parole sono doni,
sono semi da mandare,
perché sono semi buoni,
a chi noi vogliamo amare.
Io, tu, e tutta la gente,
con prudenza e attenzione,
batteremo certamente
l’antipatico birbone.
E magari, quando avremo
superato questa prova,
tutti insieme impareremo
una vita saggia e nuova.