L’inedito presente rivela tratti irriconoscibili. Siamo stipati in una specie di anticamera, assillati dalle nostre paure, paralizzati dai presagi e da notizie per nulla rassicuranti, intimoriti dalla reclusione e dalle incognite che gravano su ogni ipotesi di futuro.
La resistenza spontanea dell’incoraggiamento si è dissolta nella cupezza del clima: così si è spento l’espediente consolatorio del flash mob. Nel cielo della quarantena si addensano nubi cariche di incertezza. Ci introducono a scenari per nulla scontati. Un mondo che faticherà a tornare quello di prima. Nel nostro Paese, che oscilla costantemente tra miserie ed eroismi, rischiamo di dimenticarci della bellezza. Di quella di cui dovremo fare ancora a meno nell’astinenza della reclusione. Di quella che offriamo dalle Alpi a Sicilia a un’umanità accorrente.
E mentre evochiamo tutte le nostre angosce, in un’altalena emotiva condizionata dall’insofferenza del metro quadro, stringiamo un patto con il futuro. Un futuro da reinventare che riconosce nell’esercizio della libertà il suo imprescindibile assillo.
In un tempo sospeso non recupereremo facilmente una dimensione collettiva se non nelle riaperture, nell’aggregazione, nella capacità di fare rete, soprattutto in realtà come quelle meridionali. Le macerie immateriali ed esistenziali del virus tenderanno ad acuire la necessità di ricucire con le nostre abitudini ma alimenteranno quella rottura con gli schemi del passato che genererà nuove trasformazioni nel nostro modo di vivere.
Con ragionevole certezza possiamo stabilire che anche quando l’emergenza cesserà non torneremo subito alla normalità. La strada che ci separa dalla nostra vita precedente, in attesa di un vaccino o di una terapia farmacologica adeguata, è ancora lunga. Con l’allentamento delle misure restrittive l’Italia tornerà a respirare, ma è lecito attendersi una riapertura graduale. Non a caso il premier Giuseppe Conte, ormai guida del Paese, ha inquadrato tre fasi. La prima, emergenziale, è quella che stiamo vivendo. La seconda, sulla cui durata si dibatte (almeno sei/sette settimane secondo gli esperti ma si tratta sempre di una previsione ottimistica), di allentamento delle misure restrittive e di convivenza con il virus. La terza, non prima di luglio, di ritorno alla normalità e di progressiva ripresa dell’economia e della vita sociale.
L’esito delle previsioni è divergente ma quasi tutti i pareri indicano il periodo che precede la prima decade di maggio come possibile uscita dal tunnel. I rubinetti verranno riaperti lentamente, intanto preservando le persone fragili e mettendo in quarantena chi presenta sintomi influenzali. Resteremo, dunque, ancora esposti alla malattia, il virus continuerà a circolare. Seguirà poi un periodo in cui verranno applicate misure di distanziamento sociale. Saranno limitati gli assembramenti di ogni tipo, eventi e manifestazioni pubbliche e private. Gli ultimi a riaprire nella fase di allentamento saranno bar, ristoranti, cinema, palestre, teatri, librerie, musei e centri commerciali: dovranno ripensare il loro modo di ospitare, garantendo un distanziamento adeguato tra gli avventori. Per intenderci, potremmo andare a cena fuori soltanto se ci sarà la giusta distanza tra i tavoli.
Ne risentirà tutta la filiera turistico-culturale, ma fino a un certo punto se alla riapertura, con la cautela ereditata dall’epidemia, saremo in grado di riscoprire le bellezze della prossimità.
Le relazioni interpersonali e gli stili di vita sono destinati a mutare, almeno fino a quando non saremo in presenza del rischio zero. Il virus piegherà il mito della mobilità illimitata. Ne deriverà l’impossibilità di compiere viaggi all’estero o in località esotiche. D’altronde gli spostamenti saranno limitati, tra nuovi focolai in altri paesi e il blocco dei turisti per arginare la diffusione del virus.
Il turismo di massa, così come concepito negli ultimi decenni, cederà il passo al ritorno sui territori. Nella notte della globalizzazione riemerge la necessità di indagare la nostra identità. L’opportunità di ripartire dal richiamo delle origini, di fare esperienza pratica di incontro all’aperto, lontano dalle strettoie delle città, allargando l’eco delle musiche. Sazi di quel circolo mediatico e virtuale in cui siamo confinati, ripartiremo dalle radici e dalle comunità locali come premessa di rigenerazione sociale ed esistenziale. Favorendo le espressioni culturali del territorio, le sue energie vitali: percorsi paesaggistici ed enogastronomici, itinerari tracciati in un’ottica di turismo sostenibile. Visite a musei e a siti archeologici.
Un’estate slow per celebrare la ripresa dei rituali, gravida di motivi ancestrali. Per riconoscerci e riconoscere il volto autentico della nostra umanità. Esposti a intime trame o forse soltanto a un principio di riscoperta di un mondo nascosto che ci appartiene, scavalcato dalle frette del villaggio globale, pronto a salvarci e a sancire la rinascita della nostra vita di comunità.