Anche a Torino c’è l’oceano

Un reportage di Noemi Vicinanza

“È servito un cinema per presentarla” queste le parole con cui Massimo Postiglione, TGcom24, introduce il convegno fatto in onore della presentazione del Salone del Libro 2024. La 36esima edizione è stata infatti, come già previsto, la più maestosa di tutte le precedenti con la presenza di circa 222mila persone. Dal 9 al 13 maggio si è svolto questo imponente evento che ha visto coinvolti gli spazi di Lingotto Fiere di Torino, come ogni anno, e anche un nuovo padiglione temporaneo aggiunto a quelli già utilizzati in precedenza. Quest’anno la regione ospite attenzionata è stata la Liguria, mentre la lingua ospite, finalmente il Tedesco. Ad ingigantire l’importanza ed intensificare l’affluenza delle persone per l’evento, sono state chiaramente anche le centinaia di ospiti che si sono rese partecipi del tutto. Celebrità provenienti da ogni dove, per tutte le età e gli interessi, hanno convogliato i loro incontri con il pubblico; lo hanno fatto in maniera simile, ma allo stesso tempo particolare e diversamente intensa rispetto agli altri. Big Mama, Felicia Kingsley, Joel Diker, Barbero, Saviano, Sorrentino, è lunghissima la lista dei protagonisti che si sono aperti con il pubblico, istaurando conversazioni empatiche sul proprio lavoro, sulla motivazione della loro presenza al salone e lo hanno fatto in maniera tanto intensa da ricordare che non sono per nulla diversi da chi si trova seduto dall’altra parte a leggere di loro.

È tramite il confronto che ci si rende conto di quanto ognuno sia diverso e contemporaneamente simile all’altro. Il nucleo tematico attorno al quale è ruotata tutta l’edizione di quest’anno è stata “la vita immaginaria”, un tema che confronta gli animi e non solo, che confluisce contemporaneamente in sé stesso il concetto onirico, surreale con quello concreto, della vita quotidiana, realistico. Ad introdurlo è stata proprio la nuova direttrice editoriale Annalena Benini, che dopo sette edizioni ha preso il posto dell’ormai ex direttore Nicola La Gioia, uscito di scena come un sole che tramonta senza mai far posto al buio della notte, perché continuerà sempre a persistere la luce violenta che ha emanato quando era al centro del cielo.

Benini ha scelto il titolo “vita immaginaria”, poiché essa accoglie tutti gli strumenti della vita creativa, che diventa un ponte tra immaginario e reale. Lo strumento creativo può essere l’arte, la lettura, la scrittura, il cinema, la musica, insomma: la cultura; essa sfocia in qualcosa di più grande, personale, introspettivo come la malinconia, la speranza… Passeggiare tra i corridoi dei padiglioni, con l’odore dei libri mischiato al profumo delle persone, con la voglia di sapere, la vista della folla, delle file (presenti persino per i bagni); sentire tanti discorsi fatti da ognuno che si uniscono insieme a formarne un unico incomprensibile, spesso sovrastato dal rumore più forte di un microfono di qualche conferenza; sono tutte cose che ci portano a pensare che qualunque sia stato l’intento del Salone 2024, della “Vita Immaginaria”, è perfettamente riuscito.

Camminando in questo posto, non è per niente difficile trovare qualcosa da catturare con uno scatto: ogni cosa, ogni persona, ogni frase profonda sembra che qui possa trovare la sua dimensione, la sua contestualizzazione.

E per chi non è appassionato alla lettura?

Basta poco per capire che qui i libri servono a costruire il ponte, a collegare il mondo di ognuno con quello di qualcun altro, e non bisogna per forza leggerli per abbandonarsi alla connessione che ci forniscono, basta solo appassionarsi ad una qualsiasi cosa per arrivare a quel “nuovo qualcuno”. Basti pensare che il salone non si conclude ai semplici stand di libri, agli incontri, ma fornisce anche altro: serate a ritmo di musica e cocktail all’Off Topic, oppure informazioni all’area aperta sul tetto del Lingotto, riguardo la fabbrica di auto che prima c’era in questa zona (cosa che si può sempre trovare durante tutto l’anno, ma nel periodo del salone si aggiunge l’opportunità di godersi anche la vista di quest’ultimo dall’alto). Da tutto ciò si può quindi dedurre che il Salone è qualcosa di vasto, enorme e non solo per la grandezza concretamente spaziale, ma anche e soprattutto perché contiene le strade astratte che portano ad esperienze diverse ed ognuno può personalmente scegliere quella che gli interessa di più, che potrebbe fare più sua. Quest’anno, come sempre, ci ha insegnato tanto: per esempio ad analizzare la tematica del viaggio, quanto mai attuale e recentemente rivalutata, ricollegandola alle filosofie antiche (affrontato nel libro “Filosofia del viaggio” di Rudi Capra); oppure ad ascoltare la testimonianza di Pegah Moshir Pour, quando ci parla delle condizioni di donne iraniane che si trovano ad avere meno diritti e meno libertà rispetto a quelle italiane, solo perché nate da un’altra parte del mondo. O ancora, considerando il coraggio di alcuni attivisti, manifestanti che si sono ritrovati davanti alle porte vetrate del Lingotto e hanno deciso di urlare a gran voce, uniti in un solo coro, il loro sostegno per la Palestina. Questa piccola manifestazione non è affatto passata inosservata, né dalle forze dell’ordine, che si sono subito precipitate a monitorare la situazione con i caschi blu, né da Zerocalcare, che ospite del Salone si trovava a firmare gli autografi. Il fumettista è uscito unendosi ai manifestanti e dimostrando il suo più totale appoggio: “Ho a cuore questa questione, non potevo fare finta di niente e proprio come me dovrebbero agire tutte le persone che sono ancora dentro e la pensano così, bisogna dimostrare che siamo tanti e i manganelli non possono fermarci” (Chissà, magari metterà il disegno di questa scena in un suo prossimo libro, o nella sua prossima serie su Netflix).

Quale migliore evento, in effetti, se non quelli di natura culturale, per esprimere la propria opinione? Esprimere la propria opinione è sinonimo di vivere una vita in libertà e vivere con libertà è l’essenza di vivere la propria vita.

Quindi forse l’insegnamento più importante ed universale che il Salone del libro lascia a noi tutti, anno per anno, è semplicemente quello di risvegliare le coscienze, smuoverci dall’intorpidimento della quotidianità e ricordarci che svolgere compiti giornalieri in maniera meccanica non è vivere, ma sopravvivere. È essenziale crearsi un parere personale, confrontandosi con gli altri e soprattutto informandosi. La cultura è fondamentale, sia se declinata sottoforma di informazione, sia sottoforma di espressione delle proprie passioni, della propria essenza. Tutti ne hanno diritto e soprattutto dovrebbero capirne l’effettiva importanza.

Ci sono sicuramente delle persone più propense a sedersi e leggere un bel libro, altre meno, perché non pazienti, non educate a farlo; ma come già detto tra queste righe ciò che davvero conta è l’appassionarsi, trovare il proprio modo per arrivare alla cultura e portare la cultura da sé. Indirizzare l’individuo verso questo processo dovrebbe essere compito della scuola, della società, ma il sociale è imperfetto, così è l’individuo a doversi fare in quattro e lottare per la propria formazione, per comprendere la propria modalità di apprendimento. Eppure la cultura non è per niente identificabile come lo studio matto e disperato fatto solo per pochi, è qualcosa di così vasto che non si può declinare e appartiene a tutti noi in forme diverse. Sarebbe importante che questa consapevolezza fosse assimilata da tutti; i ragazzi sono spesso accusati dagli adulti di non comprenderlo, quegli stessi adulti che non sempre si informano e spesso giudicano senza riflettere sul fatto che è forse il sistema ad essere errato.

La realtà è che i corridoi del Salone sono pieni di ragazzi bisognosi di erudizione e di creatività verso la vita immaginaria. Il Salone non è solo l’insegnamento all’intelletto, è anche una forte speranza, ciò che ci aiuta a sognare. Il sogno stesso è il motore che ci permette di arrivare a qualcosa di grande, giorno per giorno, che ci fa vedere le cose che non ci sono realmente, ma che in quel momento ci servono per raggiungere i nostri obbiettivi o semplicemente per essere felici. Il Salone è un insieme di immagini che restano impresse nella mente non solo al fotografo, che le ha guardate a fondo per catturarle, ma anche a qualcuno che per un attimo ricorda che dall’altro lato del mondo c’è una guerra in atto. Se esiste ancora un luogo e un tempo in cui oltre 220mila persone si confrontano, dibattono sulla libertà e su tematiche altrettanto profonde, forse non tutto è perduto. Anche se solo poche di quelle persone fossero consapevoli dell’importanza di ciò che stanno facendo, o solo pochi gli dessero il giusto valore, questo aprirebbe uno spiraglio per coinvolgerne molte di più, grazie al ponte di condivisione che il Salone del libro e i libri hanno il potere di generare, perché … “leggere può creare indipendenza”.

Noemi Vicinanza

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