Io voglio ricordarlo così Francesco G. Forte: col braccio poggiato alla finestra dello studio/biblioteca/archivio/deposito nella sua casa di Nocera, lo sguardo perso in lontananza, una sigaretta fumante tra le dita. Quella ‘G’ appesa tra due effe stava per Gerardo, e io ho sempre pensato che rappresentasse un avvertimento: nessun uomo ci è mai del tutto trasparente. In quegli istanti sospesi, ho imparato che davanti ai suoi occhi si susseguivano idee, progetti, soluzioni, qualche vizio e varie seccature da sbrogliare. Allora, con quel suo modo dolce e garbato di organizzare mi spediva a sollecitare un tipografo, a ritirare gli inviti per una presentazione o mi riempiva di pacchi da distribuire. Aveva bisogno di braccia forti e dita agili il mestiere di ‘Franco’, quello che io ho gli ho visto fare.
Lascio a altri il difficile equilibrismo di cercare la cifra autentica di una personalità tanto varia e versatile: l’uomo di teatro, il letterato, il critico, l’editore… In questo momento a me tornano i tanti ricordi di un’amicizia e di un magistero ineguagliabili. Non riesco proprio a separare la sua risata ingolfata dal fumo, dalle considerazioni lucide che in poche battute illuminavano a giorno la mia mediocre intelligenza.
Un amico e un Maestro, dunque; perché la cultura che lo animava si era fatta carne e sangue e svettava sulla pedanteria stucchevole di certa Accademia, così come con disinvoltura e senza presunzione si teneva distante dalla paccottiglia commerciale. Quasi, mi verrebbe da dire, che Francesco amasse abitare una certa periferia viva delle lettere e di tanto in tanto si recasse in centro, dove regnano caos e confusione. Aveva dei riferimenti che per me restano misteriosi nella capacità di scegliere con acume autori e opere da proporre a una cerchia ristretta e selezionata di lettori. Lo faceva in modo che la sua casa editrice, Oedipus ed., mi apparisse come una sorta di alter ego pienamente dotato di vita individuale. Le scatole colme di libri freschi di stampa non erano mai l’eccesso consumistico di una società che scrive tanto e legge poco, ma qualcosa di prezioso che aveva chiesto un prezzo ancora umano e calcolabile in termini di sforzi fisici, intellettuali, finanziari. Francesco e Oedipus possedevano un senso della misura che a girarsi intorno è andato smarrito.
Quando alla fine dei Novanta, insieme a altri, incrociammo questo editore nocerino per dare vita a una singolare esperienza intellettuale, concretizzatasi nel quadrimestrale ‘Frontiera Immaginifica’, Francesco non ebbe nessuna esitazione a offrire la sua disponibilità per intraprendere un progetto editoriale rischioso, enigmatico, incerto. Puntò su un gruppo di giovani aprendo uno spazio di confronto e dibattito estraneo alle mode del momento, come estranee alle tendenze sono sempre state le scelte editoriali complessive di Oedipus. Un uomo e una casa editrice che volutamente si tenevano fuori dai giochi meschini e opportunistici della pubblicistica e della editoria di mercato, le quali sempre più di rado si preoccupano di discernere tra il successo di pubblico e la qualità dell’opera. Proprio perché al contrario Francesco e Oedipus dimostravano di tenere un saldo metro di giudizio o di paragone, forse oggi tanti già possono rimpiangere la scomparsa di questa figura defilata della cultura meridionale e italiana. Quanto all’ambiente in cui si muoveva, persino lì aveva trovato il modo di impartire una lezione di lunga durata e ampio respiro, in special modo se confrontata con la scena attuale politica e sociale, in cui scorrazzano avventurieri, affaristi, uomini dalle lunghe ma scialbe parabole. La contemporaneità, per Francesco, era un campo ricco di esperienze e occasioni raffinate. Fu a Milano, forse, che ebbe a spiegarmi quanto secondo lui perdeva il ‘nuovo mondo’ dopo Tangentopoli: mentre tutti si affacciavano alle tribune urlando a squarciagola, Francesco masticava con calma gli eventi; non era affatto un nostalgico, ma mentre quel crollo di una classe politica avveniva, lui aveva già colto l’imbarbarimento di quella che si stava affacciando e il calibro della sua levatura si rendeva ancora più evidente. Aveva ancora tutto intatto il senso di una comune appartenenza, per poter dire a me che, fino a Tangentopoli, i migliori amici avevano spesso orientamenti e idee politiche opposte. Riguardando con i suoi occhi gli ultimi trent’anni di vita italiana, ci si accorge di come i personalismi dei leader abbiano preferito circondarsi di una claque compiacente, mostro amorfo a metà tra lo spettatore e il gregario, piuttosto che di avversari tenaci e convinti. Un amico e un Maestro anche in questo, Francesco, perché stimolava a cercare idee migliori che contribuissero a perfezionare un intento.
Non abbiamo parlato mai della morte con Francesco. Ci separavano degli anni e una prospettiva inevitabilmente diversa. Mai, però, ho sentito aleggiare intorno a lui l’ombra sinistra di un precipizio fatale; nemmeno negli ultimi tempi, quando la sua salute declinava a strappi. Credo che della morte avesse accettato la sfida, per cui pur conoscendo l’impari sproporzione, non si fosse rassegnato a darle partita vinta. Possedeva una tenacia calma e paziente, che credo abbia sfruttato sino alla fine nel gioco dell’esistenza. In fondo, immagino che anche questo ultimo incontro lo preparasse confezionando un invito volto a celebrare la Cultura nel senso più alto che la parola può avere. Era il suo stile, non altro. Anche in questa ultima avventura mi sentirei di dirgli:la morte è fessa, France’, hai ragione tu!
– – – –
*Giancarlo Punzi insegna Filosofia e Storia nei Licei. Ha collaborato alla vita editoriale di Oedipus ed. accanto a Francesco G. Forte.