La Biennale D’Arte di Salerno è finalmente iniziata Sabato 6 Novembre dopo aver subito qualche rinvio: testimonianza di quanto la pandemia abbia colpito il nostro vivere quotidiano. In questa manifestazione di respiro internazionale, abbiamo voluto di nuovo contattare Elisa Montone per conoscere la sua idea di arte, i suoi riferimenti, il suo processo creativo e non solo.
A tal proposito, abbiamo posto ad Elisa qualche domanda.
Una chiave introspettiva emerge nei tuoi ritratti, nei tuoi paesaggi, in questo microcosmo con venature intimiste e malinconiche: quale umanità tu pensi sia riuscita a rappresentare?
Non ho idea di quale umanità sia riuscita a rappresentare o forse, ecco, spero di aver mostrato in qualche modo la mia umanità o meglio quello che sento io e che vedo io con i miei occhi e con i miei filtri emotivi e sensazionali. Mi ha sempre affascinato l’idea che qualcuno potesse riconoscersi o banalmente comprendere e sentirsi compreso attraverso i miei disegni ma credo pure che la soggettività non possa mai essere elusa e che quindi ognuno debba sentirsi a suo agio nel percepire un’emozione piuttosto che un’altra. Credo che trovo sorprendente già il solo fatto che nella domanda ci sia anche la risposta ovvero una lettura intimista e introspettiva dei miei disegni (sorride).
Insieme a Modigliani: quali sono gli altri artisti che ti abbiano formato influenzando fortemente il tuo percorso?
Diciamo che all’inizio non era proprio conscio che la mia “cifra stilistica” fosse ispirata a modelli come Modigliani o alla corrente espressionista ma quando ho cominciato a capire che protendevo verso un certo range di cromie e di espressioni ho anche iniziato a ispirarmi ad artisti come Milt Kobayashi, Malcolm T. Liepke, Henri Matisse nel periodo Fauves, James Ensor, Pierre Bonnard ma anche artisti moderni come David Hockney, Chantal Joffe. Inoltre prendo anche ispirazione semplicemente leggendo, un romanzo che a volte riesce a darmi immagini mentali nitide e affascinanti o guardando un film, se ha colori e dialoghi che mi trasportano in una dimensione surreale e ideale.
La situazione pandemica ha segnato il mondo della cultura, interrompendo di conseguenza il mondo dell’arte per questi due anni: in che modo questa situazione emergenziale abbia potuto incidere nel tuo processo creativo?
Credo che abbia inciso positivamente nel mio processo creativo. Passavo molte ore a disegnare e dipingere accorgendomi anche della maggiore attenzione da parte di un mondo forzatamente rinchiuso in casa e spesso costretto a girovagare nel guazzabuglio virtuale. Avevo molto tempo e mi sentivo giustificata ad averne perché tutti ce l’avevano e non mi sentivo strana a fare solo ciò che volevo fare durante la giornata. Penso quasi che sia stato fondamentale quel periodo per me. Provavo l’esigenza di mostrare quello che sentivo e proprio allora ho cominciato ad abituarmi a questo bisogno e ad assecondarlo in modo più o meno costante.
Il “Mac Fest” a Cava dei Tirreni, il “Pigneto Film Festival” a Roma, il Festival “Spaziale” a Santa Maria di Castellabate hanno rappresentato tre distinti momenti del tuo ritorno nel raccontare la tua visione artistica dal vivo: questa possibilità di interagire di nuovo con il pubblico, cosa ha significato per te?
Più che di nuovo pare sempre un inizio, ogni volta è come la prima volta. Ovviamente la maledetta pandemia ha trascinato appresso tutto il carico delle poche interazioni umane che avevo avuto, ma anche prima, quando portavo le mie opere in giro per i festival cilentani dentro di me significava sempre compiere un passo. Il Mac Fest e il Pigneto Film Festival hanno rappresentato sicuramente un approccio fuori dalla mia comfort zone dove non conoscevo le persone che organizzavano e partecipavano, quindi è stato un pò come lanciarmi in quelle vasche piene di palle morbide e colorate. Il festival Spaziale invece, prima che iniziasse, sapeva di sana ansia e di profonda aspettativa perchè era la prima volta che facevo una performance live e perchè un pò ero anche dentro all’organizzazione con i miei amici dell’associazione. Quando poi è iniziato mi è sembrato tutto naturale e mi sentivo il cuore gonfio come una vela per il semplice fatto che le persone erano lì a vedere esattamente quello che facevo e come lo facevo.
La tua partecipazione alla Biennale D’Arte di Salerno quali aspettative si porta dietro?
Ci ho pensato in questi giorni alle aspettative, anzi ci pensavo ogni volta che la biennale veniva annunciata e poi rimandata e ogni volta che ci ho pensato ho smesso di pensarci. Non voglio riporci sopra troppe domande, è un evento che aspetto da un po’ e certamente mi eccita l’idea che stia succedendo davvero, ma credo di volerlo vivere come una traiettoria e non come un punto focale. Sono felice perché succede e triste perché finirà e ho paura del cosa ci sarà dopo o forse solo paura che possa non esserci niente.