Lo spettacolo degradante ha sortito un effetto anestetizzante e l’abitudine sembra aver scalfito il senso stesso della politica, letale tanto per gli osservatori quanto per i cittadini. Il disamore per la cosa pubblica è anche frutto di una sfibrante girandola di dichiarazioni funzionali allo scarico di responsabilità, alla strumentalizzazione. E così, la classe politica si specchia in se stessa, nessuno escluso, e demanda la risoluzione di questioni che riguardano la collettività, subordinadole imperterrito al proprio tornaconto politico. Alla consolidata dinamica non si sottrae il botta e risposta inesauribile consumatosi negli ultimi giorni tra De Luca e gli esponenti del Movimento 5 Stelle sul caso Navigator. Veleno a distanza continuato a scorrere anche ieri in una recita che attendeva il suo palcoscenico: “De Luca fa un dispetto alla Campania, rinsavisca”, ha sibilato Di Maio dal Giffoni Film Festival. “Governo imbecille”, non si è fatta attendere la replica del governatore davanti alle telecamere di Rainews 24. Sulle controffensive si carica un vago orientamento politico: traspare, più che altro, un ribadimento di un’alternatività rispetto all’avversario. Tra due maestri della propaganda e della comunicazione, seppur figli di ere repubblicane diverse, la modalità non stupisce affatto, ma la contrapposizione, che ha privato il terreno di idee e coscienza politica generando un humus in cui proliferano le tifoserie, disorienta per la sua capacità di trasferire l’impianto politico-amministrativo su un piano di pubblica discordia. Un dibattito avvelenato prescinde dai contenuti, fomenta gli animi e lo scontro tra fazioni. Ma di quali fazioni parliamo? Dove si annidano proposte in linea con una visione del mondo? Dove si riscopre la concretezza di misure prodotte per agire alla radice di una società malata? De Luca e Di Maio si ergono a difensori del lavoro, sostengono di battersi contro la precarietà, ma nel concreto chi può dipingersi in questo modo? Chi crea nuove sacche di precariato pur di salvare una misura bandiera approvata in fretta e furia per esigenze elettorali (sacrosanta ma attuata male) confondendo l’assistenzialismo con la lotta alla disoccupazione, oppure chi tiene quei precari in ostaggio, smorzando anche le residue speranze progettuali di giovani laureati del sud, figlie della rassegnazione e insieme ultima barriera contro l’esodo di massa? Senza lavoro, il moribondo Sud è destinato a morire. Il ministro e il governatore dovrebbero farsi promotori di riforme strutturali, di svolte epocali. Non di iniziative simboliche e ben promosse. Magari lodevoli ma circoscritte a singole questioni. Lo richiedono i tempi e l’esame di realtà. E, non in ultimo, il dovere della rappresentanza.
Sul caso Navigator, le proposte della Regione Campania appaiono tardive e inconciliabili con il procedimento in atto: l’assunzione a tempo indeterminato dei 471 selezionati in Anpal al termine della mansione da navigator (30 aprile 2021), la cancellazione dell’articolo 3 dell’accordo quadro nazionale che legittima la possibilità di un secondo lavoro per i navigator, un lavoro stabile nei centri per l’impiego per i vincitori (quasi tremila) del concorso indetto dalla Regione Campania. Sulla carta proposte condivisibili ma inattuabili all’interno del quadro odierno e dell’accordo Stato-Regioni. Con il rischio che si tramutino nell’ennesima rivendicazione di parte, animata dalla possibilità di rendere palesi le contraddizioni dell’avversario ma non di cambiare il corso degli eventi. È il palcoscenico della politica, che adotta oggi come oggetto delle sue invettive e della continua guerra di posizione 471 futuri precari che chiedono almeno, con grande umiltà, di poter iniziare un proprio percorso professionale. Un teatrino, in un’epoca del genere, francamente difficile da godersi.