Poveri e obesi. Il classismo del cibo colpisce al Sud.

L’antico paradigma, fondato sulla differenza di classe, del ricco che ingrassa e del povero perennemente ossuto, nel terzo millennio è stato soppiantato dal suo esatto opposto. Il sorprendente esito di quasi tutte le ricerche effettuate sull’obesità e la malnutrizione, evidenzia inoltre che il tasso di sovrappeso dipende anche e fortemente dal grado d’istruzione. Ne emerge un quadro sconfortante per il Sud Italia, e in particolare per la Campania. L’ultimo rapporto, diffuso in occasione del Summit italiano sull’obesità e redatto da Ibro Foundation in collaborazione con Istat, rivela che oltre venticinque milioni di italiani sono obesi o in sovrappeso, e che il fenomeno interessa innanzitutto le regioni meridionali dove un bambino su tre e un adolescente su quattro sono in eccesso di peso. Nella maggior parte del mezzogiorno più di un terzo dei giovani non pratica sport e preferisce una vita sedentaria, numeri impressionanti che raggiungono il picco nella sola Campania, regione in cui il problema riguarda addirittura il 41% dei casi. Nonostante un’epoca che esorta a ricorrere allo sport come fonte, spesso purtroppo unica, di sicurezza personale e sociale, da attribuire a un fattore estetico. Il tasso di obesità raddoppia tra quelle fasce di popolazione a reddito basso e tra chi non ha frequentato l’università. Le differenze maggiori, però, dipendono dal livello d’istruzione dei genitori: la prevalenza di eccesso di peso passa dal 18,5% di bambini e adolescenti con genitori che hanno conseguito la laurea, al 29,5% di quelli i cui genitori hanno un basso titolo di studio. Dalle statistiche in esame emerge anche un divario tra le zone rurali e i centri urbani, con questi ultimi che riescono ad arginare meglio il fenomeno, ad eccezione delle periferie dove l’incidenza dello junk food, cibo preconfezionato di scarso valore nutritivo e alto contenuto calorico, come merendine, snack confezionati e dolciumi, miete le sue vittime e non soltanto tra i giovanissimi. Dalla Fao sottolineano come il consumo di alimenti industriali che contengono poco nutrimento ma molti grassi, zuccheri e additivi chimici, sia in costante aumento.

Il tema del cibo è un tema centrale perché ineludibile: nutrirsi è un’esigenza quotidiana, il cibo è di tutti, ed è sempre legale a differenza di altre sostanze tossiche vietate dalla legge. Alcune sostanze contenute nei cibi spazzatura a basso costo diventano intrusi pronti ad alterare gli equilibri dell’organismo, a limitarne il benessere e, a lungo andare, a comprometterne la salute. Il mercato e la grande distribuzione hanno monopolizzato le fonti di approvvigionamento, riducendo la questione a una mera distinzione di costo, propinando quantità di prodotti insalubri a prezzi modici. Ma se anche di questi tempi il discorso sull’alimentazione ha subito gli effetti della dicotomia forzata popolo-elite, (chiunque abbia tentato di lanciare campagne per il cibo sano e il consumo responsabile e cosciente, si è ritrovato scimmiottato e accusato di comodo proselitismo da benestanti. E’ la sorte toccata a Carlo Petrini e al suo Slow Food, alle vitali battaglie condotte per la difesa dei diritti e dei doveri di produttori e consumatori, dei contadini, della salute pubblica e della biodiversità), secondo la Fao l’obesità va affrontata come un problema sociale e politico, non come il problema di un singolo. Nel cambio di passo culturale risiede il primo antidoto in grado di contrastare il classismo del cibo e le sue vittime predestinate.

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