Più emigrati che immigrati, spopolamento e recessione: il Sud sprofonda nel rapporto Svimez

Servizi non all’altezza, lavoro inesistente, giovani in fuga e spopolamento sempre più accentuato dei piccoli centri. Il gap con le regioni del nord che torna ad allargarsi pericolosamente. Ecco alcune delle anticipazioni del rapporto Svimez sul mezzogiorno. E’ lo stesso autorevole istituto a suggerire di prescindere dall’attuare soluzioni “per parti”, che contengono germi di contrapposizione territoriale (come la riduzione dei salari al sud o l’autonomia differenziata), per mettere in campo, da subito, un insieme di strumenti incisivi per il rilancio degli investimenti pubblici (a partire da un’attuazione piena del principio di riequilibrio territoriale sancito con la clausola del 34% e dall’avvio di una forte perequazione infrastrutturale), in un’ottica di integrazione e reciproci vantaggi tra le aree del Paese.

Rischio recessione

I segnali di rallentamento apparsi in Europa nella prima metà del 2018 hanno ridotto le prospettive di crescita dell’intera area, tuttavia l’Italia subisce un rallentamento che riallarga la forbice rispetto alla media europea (+0,9, contro il +2,0 nell’anno). Siamo l’unico paese, a parte la Grecia, che non ha ancora recuperato i livelli pre crisi. Come previsto nel Rapporto dello scorso anno, se l’Italia rallenta, il Sud subisce una brusca frenata. Si sta consolidando sempre più il “doppio divario”: dell’Italia rispetto all’Unione Europea e del Sud rispetto al Centro-Nord. È nel problema italiano, dunque, che si accentua il problema meridionale, su cui grava ora lo spettro di una nuova recessione. Nel 2018 il Sud ha fatto registrare una crescita del PIL dell’appena +0,6%, rispetto +1% del 2017. Il dato che emerge è di una ripresa debole, in cui peraltro si allargano i divari di sviluppo tra le aree del Paese. Nella seconda metà del 2018 l’andamento congiunturale è peggiorato nettamente. La modesta crescita osservata nei primi sei mesi, che proseguiva il trend espansivo avviatosi ad inizio 2014, ha lasciato il posto ad un sempre più marcato rallentamento dell’attività produttiva. Nel quadro di un progressivo rallentamento dell’economia italiana, si è riaperta la frattura territoriale che arriverà nel prossimo a segnare un andamento opposto tra le aree, facendo ripiombare il Sud nella recessione da cui troppo lentamente era uscito.

Divario Nord-Sud

La dinamica dell’occupazione meridionale presenta dalla metà del 2018 una marcata inversione di tendenza, con una divaricazione negli andamenti tra Mezzogiorno e Centro-Nord: sulla base dei dati territoriali disponibili, gli occupati al Sud negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 sono calati complessivamente di 107 mila unità (-1,7%); nel Centro-Nord, invece, nello stesso periodo, sono cresciuti di 48 mila unità (+0,3%). Nello stesso arco temporale, aumenta la precarietà al Sud e si riduce nel Centro-Nord: i contratti a tempo indeterminato nel Mezzogiorno sono stati 84 mila in meno (-2,3%), mentre nelle regioni centro-settentrionali sono aumentati di 54 mila (+0,5%), con un saldo italiano negativo di 30 mila unità, pari a -0,2%. Per converso, i dipendenti a tempo determinato sono cresciuti di 21 mila unità nel Mezzogiorno (+2,1%), mentre sono calati al Centro-Nord di 22 mila (-1,1%). Resta ancora troppo basso il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno, nel 2018 appena il 35,4%, contro il 62,7% del Centro-Nord, il 67,4% dell’Europa a 28 e il 75,8% della Germania. I settori nei quali vi sono i maggiori gap sono i servizi (1 milione e 822 mila unità, -13,5%), l’industria in senso stretto (1 milione e 209 mila lavoratori, -8,9%) e sanità, servizi alle famiglie e altri servizi (che complessivamente presentano un gap di circa mezzo milione di unità).

La vera emergenza: più emigrati che immigrati

Le persone che sono emigrate dal Mezzogiorno sono state oltre 2 milioni nel periodo compreso tra il 2002 e il 2017, di cui 132.187 nel solo 2017. Di queste ultime 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33,0% laureati, pari a 21.970). Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, è negativo per 852 mila unità. Nel solo 2017 sono andati via 132 mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità. La ripresa dei flussi migratori rappresenta la vera emergenza meridionale, che negli ultimi anni si è via via allargata anche al resto del Paese. Sono più i meridionali che emigrano dal Sud per andare a lavorare o a studiare al Centro-Nord e all’estero che gli stranieri immigrati regolari che scelgono di vivere nelle regioni meridionali. In base alle elaborazioni SVIMEZ, infatti, i cittadini stranieri iscritti nel Mezzogiorno provenienti dall’estero sono stati 64.952 nel 2015, 64.091 nel 2016 e 75.305 nel 2017. Invece i cittadini italiani cancellati dal Sud per il Centro-Nord e l’estero sono stati 124.254 nel 2015, 131.430 nel 2016, 132.187 nel 2017. Questi numeri dimostrano che l’emergenza emigrazione del Sud determina una perdita di popolazione, soprattutto giovanile, e qualificata, solo parzialmente compensata da flussi di immigrati, modesti nel numero e caratterizzati da basse competenze. Tale dinamica determina soprattutto per il Mezzogiorno una prospettiva demografica assai preoccupante di spopolamento, che riguarda in particolare i piccoli centri sotto i 5 mila abitanti.

Disomogeneità

Il quadriennio 2015-2018, pur confermando che la ripresina degli anni scorsi ha riguardato quasi tutte le regioni italiane, mostra andamenti alquanto differenziati a livello territoriale. Il grado di disomogeneità, sul piano regionale e settoriale, è estremamente elevato nel Sud. Nel 2018, Abruzzo, Puglia e Sardegna sono le regioni meridionali che fanno registrare il più alto tasso di sviluppo, rispettivamente +1,7%%, +1,3% e +1,2%. In Campania, nel 2018, c’è la crescita zero del PIL, determinata da un rallentamento dell’industria che aveva trainato la regione negli anni scorsi e soprattutto da quello negativo dei servizi. Ciò dopo che nel 2017 il prodotto lordo aveva continuato a crescere dell’1,8%. Nella regione, le costruzioni vanno bene (+4,7%), l’agricoltura si attesta a +1,1%, mentre l’industria in senso stretto realizza un modesto +0,5%. In controtendenza i servizi, che pesano molto sul complesso dell’economia campana, in calo di -0,3%. Va sottolineato che nel complesso del periodo 2015-18 con il +4,5% di crescita del PIL la Campania è stata una delle regioni più dinamiche del Paese.

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