E allora il Pd?

Lunedì 2 settembre, il treno su cui sto viaggiando per tornare a casa si blocca nei pressi di Milano. Una voce metallica dice che riprenderemo il viaggio fra quindici minuti e ripete la stessa cosa dopo quindici minuti. E io penso: quando c’era lui i treni arrivavano in orario, lui ha fatto anche cose buone. Parlo di Salvini. Poi mi ricordo che è ancora Ministro dell’Interno, anche se solo per poche ore. La nuova ministra sembra tosta, ha già cancellato molte molte ordinanze leghiste in passato e questa è una buona cosa sul curriculum. La destra dichiara che quello giallo-rosso sarà il governo più di sinistra di sempre, anche i gay adotteranno bambini, la gente si drogherà di più e sarà obbligatorio ospitare un migrante in ogni casa. E io penso: non vedo l’ora! E pensare che rischiava di saltare a causa di Rousseau. La cosa mi lascia perplessa per molti motivi, è strano appellarsi alla democrazia diretta nel bel mezzo di una consultazione per formare un governo; mentre i dem non hanno bisogno di una piattaforma perché un milione e seicentomila persone qualche mese fa hanno dato mandato al segretario di fare il segretario. Mi domando se questi due stili potranno mai conciliarsi. Inoltre, è una sorta di voto di fiducia, non dovrebbe essere segreto. Ma forse sono problemi miei. Poi il quesito era diverso, nel 2018 compariva la dicitura “governo del cambiamento”, la Lega non era nemmeno nominata, mentre adesso il Pd compariva. Come se fosse quello il problema.
In questi giorni ho indagato nella base del Pd, per capire gli umori e ho ricevuto molti pareri contrapposti (del resto, non sarebbe nemmeno il Partito Democratico se avessi trovato due persone d’accordo), ma in tutti ho trovato preoccupazione, più che contentezza. La base è contenta, mi dice un vecchio amico, nel senso che si accontenta. Alcuni volevano addirittura il voto subito. Lo stesso Zingaretti mi pare un leader “flessibile”: mi pare fosse pronto per l’opposizione, ma poi ha colto al volo l’assist di Renzi, perché in fondo una parte di lui voleva l’alleanza coi pentastellati. La versione più fantasiosa dice che in realtà tutta questa situazione serve per far fuori in un colpo solo sia il Movimento Cinquestelle che Zingaretti con tutto il Pd e alla fine torneranno Renzi e Berlusconi al governo. Insomma, una visione apocalittica che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico. Alla fine ho scelto di credere alla versione più sensata, datami dalla “vecchia guardia”: è la soluzione migliore per salvare il Paese dalla deriva populista. E qui piovono critiche a Renzi per aver contribuito a far morire sul nascere i tentativi di governare coi grillini un anno fa, ma forse un anno fa non vi erano le condizioni, i dem avevano appena subito una batosta e poi nel frattempo il movimento è cresciuto, si è fatto un bagno di realtà. Sono lontani i tempi dei duri e puri, quando il movimento non faceva alleanze, quando sbatteva la porta in faccia a Bersani.
Per chi voleva che l’esperimento iniziasse nel 2018 ricordo che la Cepu fa recuperare due anni in uno, potrebbe essere il caso. Dopo l’uscita di Calenda dal partito, ho percepito un senso di fine incombente. Se l’accordo coi 5stelle non avesse funzionato, il Pd avrebbe fallito e si sarebbe sciolto; se l’accordo avesse funzionato il Pd avrebbe tradito i suoi ideali e si sarebbe sciolto.
Insomma, c’è Renzi che un giorno è dentro un giorno è fuori, mentre Luigi Di Maio (nonostante le sue gaffe) ha ottenuto il Ministero degli Esteri, però il partito resiste e Salvini è stato momentaneamente ridimensionato. L’unico leader che ha smascherato il complotto per far cadere il suo governo facendo cadere il suo governo. La sua ultima sconfitta? Paolo Gentiloni candidato a commissario europeo. Persino le multe alle Ong verranno cancellate.

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