Decreto sicurezza bis, un disegno autoritario ai danni degli ultimi e del dissenso

Uno smacco alla Costituzione. Cui adesso bisognerà ricorrere per capire se il decreto (in)sicurezza bis ne calpesta i principi. I dubbi principali sulla legge approvata ieri risiedono nel sistema sanzionatorio non più proporzionato all’entità delle condotte contestate e alle pene eccessive previste in un’ottica di repressione preventiva. La misura simbolo, che svela il volto truce del leghismo, assegna al ministro dell’interno poteri mai conosciuti prima da un titolare del Viminale: dal divieto d’ingresso, sosta o transito di imbarcazioni con a bordo migranti all’inasprimento delle pene per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dalle pene pesantissime nei confronti dei comandanti che non ottemperano alle disposizioni fino alla revoca della licenza di navigazione e all’arresto in flagrante. Aumentano i fondi (3 milioni nei prossimi tre anni) contro il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per operazioni di polizia sotto copertura. Approvato con la sordida complicità del M5S, ormai appiattito sulle posizioni della Lega per amor di governo, il decreto non accenna a soluzioni, non predispone misure in grado di governare meglio i fenomeni se non asserragliandosi dietro il mantra del respingimento a priori e di un virile quanto grottesco senso dell’ordine. Il discorso si estende alle manifestazioni in un luogo pubblico, l’articolo 7, che introduce circostanze aggravanti per la resistenza a pubblico ufficiale e inasprisce pene e sanzioni per chi osa offendere il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio o di un corpo politico. Non è tutto. Il decreto trasforma da violazioni amministrative in reati le azioni di chi si oppone alle forze dell’ordine con qualsiasi tipo di resistenza. Le domande che sorgono in merito sono molteplici e tutte accompagnate da un senso d’allarme: cosa succederà al cospetto della resistenza passiva (per antonomasia, sempre pacifica)? Come si comporteranno le forze dell’ordine se qualcuno dovesse insultare o contestare pubblicamente l’operato del governo o della polizia? Questa legge è uno sdoganamento per una cieca e ottusa condotta che qualcuno anela in relazione alle facoltà dei pubblici ufficiali? La materia è all’esame del Quirinale. Le riserve del Capo dello Stato, come già accaduto in ottobre, non gli consentiranno di bloccare la legge ma, stando a quanto trapela, Mattarella richiamerà l’esecutivo agli obblighi costituzionali e al rispetto dei trattati internazionali. Molti giuristi, inoltre, sostengono che questa legge alla fine sarà smontata pezzo dopo pezzo dalla Corte costituzionale. Terminano la lunga lista i Daspo più duri per i recidivi delle manifestazioni sportive. Dal decreto rimangono esclusi da misure necessarie di sostegno a salari, previdenza e organici i Vigili del Fuoco, fatta eccezione per l’aumento del monte ore annuo di straordinario per il personale operativo del Corpo.

L’anticamera di uno stato di polizia giace tra le righe di un testo che fa del disprezzo delle leggi del mare e dell’umanità, della criminalizzazione della solidarietà e del vuoto feticismo della divisa i suoi segni distintivi, utili ad allestire un corredo di premesse autoritarie da offrire sottoforma di protezione. Il filo conduttore con il primo decreto sicurezza traccia, in concomitanza con gli sgomberi di centri d’accoglienza e centri sociali, un sadico e inquietante segnale d’inversione morale, a lungo andare nocivo per la convivenza civile stessa: non è soltanto frutto di un aberrante disegno autoritario ai danni degli ultimi ma è il tentativo, destinando quanti più disgraziati alla strada, in assenza di piani alternativi d’accoglienza, di minare l’ordine pubblico ed acuire le tensioni sociali. Fabbricare clandestini, relegare al vagabondaggio o all’accattonaggio anche centinaia di immigrati regolari, titolari di protezione umanitaria, che per effetto del decreto sicurezza sono stati messi per strada dagli Sprar in cui erano ospiti, tutto concorre ad alimentare l’insicurezza sociale, a esacerbare ulteriormente il conflitto tra poveri su base etnica. Una nave ong deve subire un processo mediatico e giuridico ogni qualvolta naviga le acque territoriali, immancabilmente interdette, mente le piccole imbarcazioni organizzate dai trafficanti proseguono indisturbati la loro opera di sbarco lontano dai riflettori. Un nero, per incutere timore, deve vagare sui marciapiedi. Rinforzando queste percezioni ne beneficia la propaganda. Il capro espiatorio è servito. La protezione, offerta con l’inganno. Il consenso irrobustito, un’arma per la futura contrattazione politica fondata sul ricatto.

L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati ha espresso preoccupazione per l’approvazione della legge, duramente criticata da molti esperti di diritto internazionale. “L’Unhcr ribadisce la propria preoccupazione in merito al fatto che l’imposizione di sanzioni pecuniarie e di altro tipo ai comandanti delle navi potrebbe ostacolare o impedire le attività di soccorso in mare da parte delle navi private in un momento in cui gli stati europei hanno significativamente ritirato il proprio sostegno alle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale”, è riportato nel comunicato. “Le ong svolgono un ruolo cruciale nel salvare le vite dei rifugiati e migranti che intraprendono la pericolosa traversata per arrivare in Europa. Il loro impegno e l’umanità che guida le loro azioni non dovrebbero essere criminalizzati o stigmatizzati”.

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